
Alberto Tedeschi è un giovanissimo produttore di piccole dimensioni 2 ettari di vigneto in affitto. Si è fatto conoscere in questi anni tra gli appassionati e i frequentatori di Critical Wine e fiere dei vini naturali grazie al suo bel lavoro di recupero del Pignoletto, vitigno a bacca bianca tipico dei colli bolognesi. Ecco cosa ci ha raccontato durante il nostro incontro…
Puoi raccontarci il territorio dei Colli Bolognesi dal tuo punto di vista?
Dal punto di vista vitivinicolo i colli bolognesi sono una zona interessante, emerge però con grandi difficoltà, vittima di un modo di concepire il vino che ha caratterizzato le produzioni fino a pochi anni fa. La gente considera ancora gran parte dell’Emilia come la zona delle cantine sociali, ma non c’è solo questo. Sono sempre di più i viticoltori che vinificano in proprio l’uva puntando ad aumentare la qualità dei loro vini e non la quantità. Quello che purtroppo noto è che molti di loro puntano troppo sui vitigni internazionali relegando in secondo piano i nostri vitigni. Il Pignoletto per esempio è l’unico vitigno autoctono bolognese a bacca bianca, se trattato bene in vigna da un vino di corpo, colore, presenza e struttura. Troppo spesso però, per esigenze di mercato, si preferisce snaturare le sue caratteristiche per offrire un prodotto di più facile approccio ma inevitabilmente meno tipico. E’ un’uva molto interessante che volendo si presta anche all’appassimento.
Raccontaci la tua storia in relazione al vino: come sei arrivato a fare vino, quali le scelte enologiche che hai fatto e perché…
Non produco vino per tradizione familiare, ho studiato agraria, quindi ho seguito un corso per tecnico di agricoltura biologica a cui è seguito uno stage presso l’azienda vitivinicola Maria Bortolotti. Dopo lo stage ho lavorato con loro per 4 anni e poi mi è venuta voglia di mettermi in proprio per il piacere di poter fare le mie scelte dall’inizio alla fine. Dopo varie vicissitudini ho trovato 2 ettari di vigneto a Monteveglio e utilizzo la cantina di Flavio (Az. Bortolotti) per la vinificazione. Mi ritengo molto fortunato. Quindi l’incontro con il vino è iniziato subito con il vino naturale e su questa strada ho proseguito anche nel mio lavoro, è questo il tipo di agricoltura che mi interessa…
Se non lavorassi sui Colli Bolognesi dove vorresti avere le vigne e su che vitigno vorresti lavorare?
Domanda facile: in Langa col nebbiolo. Senza dubbi. Mi piacerebbe confrontarmi con l’eccellenza italiana pur non essendo legato ai vini rossi. Quello che fa quel vitigno in quei 30 chilometri quadrati non succede da nessun’altra parte d’Italia, è eccezionale. In un posto come quello puoi veramente misurare la tua sensibilità nel fare il vino: puoi essere un ottimo tecnico, ma se non senti dentro qual è il momento giusto in cui bisogna fare le cose non si va lontano. Se dovessi invece scegliere un vitigno a bacca bianca mi piacerebbe lavorare con lo Chenin e come zona sceglierei l’Anjou; lì lavorano alcuni personaggi che mi hanno molto affascinato quando ho iniziato a fare vino.
So che nel tuo lavoro di vignaiolo c’è ancora molto spazio per la ricerca e la sperimentazione. In che direzione stai lavorando?
Nelle mie prime produzioni ero interessato alla maturità: sapori molto maturi e maggiore pienezza del gusto. Oggi sto cercando di fare un prodotto più diluito e territoriale, con una maggiore mineralità, tutto senza esagerare: rispetto sempre l’annata, è l’annata che fa il vino. Ad esempio questi ultimi anni sono stati molto caldi e per evitare eccessi di maturità che non desidero ho anticipato un po’ la vendemmia. Nel 2006 ho sperimentato con il Pignoletto una macerazione lunga sulle bucce e mi sono rimasto colpito dalla qualità e dal carattere del vino ottenuto, credo che sia una delle strade da percorrere. Il Pignoletto vinificato con una lunga macerazione ha una tannicità davvero incredibile! Ha ancora bisogno di maturare, ma se lo bevi senza guardarlo lo scambi veramente per un rosso, voglio provare a lavorare su questo vino. Un altro giochino che ho fatto nel 1999 è stato un passito con il 50% di Albana e il 50% di Pignoletto lavorato a botte scolma come un vin santo. E’ interessante, un vino dolce non stucchevole, ma personalmente preferisco lavorare sui vini da pasto.
Parlare con te di vino è un piacere anche perché vedo che oltre ad essere un produttore sei anche un grande appassionato. Qual è il vino – non tuo – che hai bevuto che ti ha maggiormente impressionato? E perché?
Ultimamente mi sento legato ai bianchi di Valentini. Il Trebbiano è il suo vino che mi da’ di più, che mi comunica e mi fa sognare di più: si nasconde ed esce piano piano, non si concede subito, ha bisogno del suo tempo. E’ un vino in cui mi sembra di riconoscere il carattere del produttore, quando un vino riesce a comunicare un territorio, un’annata ed un vignaiolo è veramente emozionante. Il vino lega tanti aspetti, non si tratta solo del vino in se.
Che rapporto hai con chi beve i tuoi vini? Ti capita spesso di confrontarti con chi li beve?
Si, spesso: mi confronto quotidianamente con chi beve i miei vini. Per carattere faccio piuttosto fatica a raccontarmi, ma visto quanto piace a me ascoltare gli altri produttori quando parlano dei propri vini e del proprio lavoro ho cominciato a raccontare un po’ di più e adesso ho scoperto che è un vero piacere parlare e confrontarmi con gli appassionati che vengono ad assaggiare i miei vini! Più difficile per me spiegare a chi non ha già un suo bagaglio di conoscenze… Mi piace ta l’altro mettere la mia faccia davanti al mio vino, è un modo per assumermi la responsabilità di quello che faccio. Di base però vorrei fare il contadino, non il distributore o il comunicatore, in un mondo ideale lo lascerei fare agli altri, ma so che lo devo fare io e così ho trovato il modo di farlo con piacere, offro quello che a me piace ricevere come appassionato.