Sulle colline reggiane di Quattrocastella sorge l’azienda agricola Ca’ de Noci guidata oggi dai due fratelli Giovanni e Alberto Masini. Come racconta già il nome l’azienda non è esclusivamente vitivinicola, arrivando ci si trova infatti immersi in un grande noceto, ordinatissimo. Qui nella notte di San Giovanni si raccolgono le noci verdi per il nocino tradizionale che viene creato lasciando le noci in infusione per 80 giorni senza aggiunta di altro come da antica ricetta reggiana. Dalla tradizione qui nasce anche l’aceto balsamico tradizionale, frutto dell’invecchiamento del mosto cotto per 12/25 anni in botticelle di rovere, ciliegio, frassino, gelso e castagno.
I terreni di Ca de Noci vengono lavorati in agricoltura biologica dal 1993, qui la vigna occupa 4 ettari e mezzo di cui una larga parte è stata piantata dal padre negli anni Settanta. Si tratta quindi di piante che hanno ormai 40 anni e che hanno trovato un equilibrio ottimale con i terreni e l’ambiente. Sono vigneti ricchi di varietà autoctone, tra cui spiccano i rossi Lambrusco grasparossa, Lambrusco di Montericco, Malbo gentile e il vitigno a bacca bianca Spergola che nelle mani di Giovannni e Alberto sta riservando delle bellissime sorprese sia come vino bianco fermo che nella versione passita.
Ma come sempre dietro ogni vino ci sono storie e scelte, abbiamo parlato di questo con Alberto Masini iniziando dal racconto dei motivi che hanno indotto lui e la sua famiglia a lasciare l’agricoltura convenzionale per arrivare alla coltivazione biologica.
Alberto Masini: La scelta dell’agricoltura biologica era stata fatta dopo anni di agricoltura convenzionale, una scelta fatta a ragion veduta perché nostro padre lavorava in convenzionale e insieme a lui abbiamo vissuto un’esperienza negativa di vita in campagna. Non sembrava neanche di vivere in campagna: i commercianti di fitofarmaci erano delle specie di sicari, arrivavano con proposte di tutti i tipi e mio padre era molto vincolato a loro. Inoltre dovevi girare bardato e coperto fino alla punta dei capelli quando davi i trattamenti e bisognava stare lontani dalla vigna per almeno 5 giorni dopo averla trattata. La vigna non sembrava più campagna, non ci si poteva entrare. E’ stata la nostra esperienza da piccoli e non ci è piaciuta. Siamo passati all’agricoltura biologica nel 1993 io avevo 19 anni e mio fratello 23, lui aveva avuto contatti con l’Aiab e così lui e mio padre hanno fatto questo cambio di rotta. Anche il rinnovamento dei vigneti ha inciso: cambiando la tipologia di vigneto cambia il lavoro.
Sorgentedelvino: Avete ormai un’esperienza lunga di agricoltura biologica, immagino siate soddisfatti delle vostre scelte…
Alberto Masini: Da un punto di vista burocratico la regolamentazione biologica in Italia arriva fino alla campagna e questo è un limite perché non viene ancora garantito completamente il lavoro in cantina, in Francia invece è possibile certificare anche il vino. Da questo punto di vista ICEA potrebbe fare qualcosa di più. In campagna ovviamente è sempre un terno al lotto perché lavorando in regime di agricoltura biologica la vigna viene attaccata più facilmente dalle malattie, ci sono annate in cui va bene e annate come questa in cui devi essere molto molto attento ed intervenire prontamente per salvare il vigneto. Io ho pochi riferimenti perché la collina reggiana è una zona con pochi vigneti, i vigneti qui sono tutti in pianura e lì, dove sono tutti convenzionali, non vedo malattie; sono molto molto protetti e gli attacchi non raggiungono i vigneti di pianura a meno che non siano davvero violentissimi. Questo è anche un discorso di organizzazione: hanno rese per ettaro molto alte e impianti di irrigazione, è tutto diverso. Non tornerei comunque indietro: fai biologico per lavorare meglio, essere più tranquillo e avere un livello di salubrità in campagna che gli altri non possono permettersi.
Sorgentedelvino: Nei vostri vigneti avete recuperato alcune varietà di vitigni autoctoni reggiani molto interessanti, puoi raccontarmi della Spergola e del Malbo Gentile?
Alberto Masini: La Spergola è la vigna più vecchia che è rimasta, è un impianto del 1970. Sono circa 7000 metri ed è rimasta per scelta come vigna da salvaguardare perché nella nostra zona ce n’erano ormai pochissime. Partendo dalle vecchie piante ne abbiamo poi piantato circa 5000 metri. Nel corso del tempo abbiamo rinnovato anche altri vigneti estirpando quelli troppo vecchi ma utilizzando il vegetale per fare gli innesti. Abbiamo lavorato in questo modo per i nuovi vigneti di Lambrusco Grasparossa, Lambrusco Montericco (quello più territoriale) e Malbo Gentile. Il Malbo Gentile ha la bellezza – unica rispetto alle altre varietà di lambrusco – dei frutti molto maturi, mora mirtillo sottobosco. E’ un’uva dolce che potrebbe andare molto bene anche per vini passiti, ma non per un vino fermo perché ha poca struttura e poca buccia, è anche molto buono da mangiare. Anche come grappolo assomiglia un po’ all’uva da tavola: grappoli grossi e spargoli. L’origine del Malbo non è reggiana, sembra che venga dalla zona di Genova, viene anche chiamato Amabile di Genova, probabilmente è un vitigno di importazione arrivato a Genova di transito e poi fermatosi a Reggio Emilia dove si trova almeno dal Settecento. Abbiamo scelto varietà diverse che funzionassero bene in collina, se metti Lambrusco Maestri o Marani in collina non vanno bene. Sulle uve che abbiamo scelto per la nostra terra la collina aiuta molto. Il Lambrusco di Montericco lo abbiamo solo noi e un altro produttore, è un vitigno molto raro, molto diverso dal Lambrusco Grasparossa, il suo punto di forza è l’acidità mentre quello del grasparossa è il tannino. Il Montericco è freschissimo, il Grasparossa cupo.
Tutti i lambruschi singolarmente sono sbilanciati, insieme danno equilibrio al vino. Gli impianti nuovi per il Lambrusco sono stati fatti a fine anni Novanta, nel 2001 abbiamo impiantato Cabernet, ancora Montericco e un’altro vitigno autoctono a bacca rossa, la Sgavetta. Anche la Sgavetta è un’uva da Lambrusco che abbiamo recuperato da un vigneto di collina ma la stiamo ancora osservando per capire bene come si comporta sia in vigna che in in vinificazione. Tradizionalmente la si utilizzava come il Malbo Gentile. Non avendo vini in purezza lavoriamo molto su vigneto, sull’annata e sulla vendemmia. Da un lato ci limita perché non abbiamo vini costanti ma ci aiuta per arrivare a un risultato sempre migliore. Ad esempio il nostro vino bianco Notte di Luna inizialmente era vinificato solo con la Spergola, poi abbiamo aggiunto una piccola parte di Malvasia Aromatica, prima veniva vinificato senza passaggi in legno, adesso usiamo un po’ di legno e abbiamo aggiunto una parte di Moscato. E’ stato un percorso lungo, ma ora ci sembra di aver trovato la forma giusta per questo vino. Sui rossi stiamo ancora studiando perché abbiamo messo vigne nuove e ogni vigneto nuovo cambia un po’ il vino.
Sorgentedelvino: Puoi spiegarmi le ragioni che vi hanno indotto a non fare mai vini DOC e a scegliere invece la strada dei vini da tavola e degli IGT?
Alberto Masini: Quando abbiamo iniziato a fare il vino non c’era nessuna azienda che facesse il vino artigianale biologico e per forza di cose abbiamo usato nomi di fantasia. Se avessi usato le DOC della nostra provincia mi sarei inserito su un livello di vino da cantina sociale da grande distribuzione. Negli ultimi tre anni in collina sono stati estirpati metà dei vigneti, mentre hanno impiantato in pianura solo gli industriali o chi alle spalle aveva le cantine sociali. Questo è indicativo del tipo di lavoro che si sta facendo nella nostra provincia. Successivamente ci siamo chiesti più volte se usare o no le DOC e le IGT. Adesso credo che il vino da tavola rimanga una denominazione ottima e IGT sia l’alternativa migliore perché IGT identifica un territorio ma non identifica lo standard di vino, non ti da un’identificazione come tipologia. Quindi abbiamo scelto l’IGT su tre vini, mentre gli altri rimangono vini da tavola.