Arriviamo a Mezzolombardo in una piovosa mattina d’autunno. Oltrepassiamo il cancello aziendale della cantina Foradori, e per prima cosa notiamo la splendida architettura rurale di quella che è oggi in parte cantina in parte deposito. Respiro da Mitteleuropa contadina, lineare pulita efficiente. Elisabetta Foradori ci accoglie. Piove niente visita ai vigneti, per quest’oggi. Cantina, assaggi. La cantina di vinificazione è semplicissima, tini in legno, vasche in cemento, altre in acciaio. Nessuna diavoleria, solo una estrema pulizia.
La vecchia cantina di affinamento è di per se già un monumento. Pietra locale a vista, imponenti colonne, ghiaia del torrente per terra. I legni, botti grandi per il Foradori, tante barrique per il Granato, che pian piano andranno sostituite dalle nuove anforette in terracotta da 400 litri. Questa “innovazione” è in fase di sperimentazione da 2 anni, sia sulla Nosiola che sul Teroldego. Abbiamo visto, e fotografato, le anfore, ormai a fine fermentazione, ancora da svinare. Le macerazioni si protrarranno a lungo nell’ambiente protetto della cantina. Elisabetta non ha ritenuto necessario interrare le anfore, la cantina ha sufficiente inerzia termica senza dover ricorre all’isolamento naturale della terra. Questo passaggio è una scelta meditata, non un cedimento alle mode.
Un percorso personale iniziato con la presa in carico dell’azienda di famiglia alla scomparsa, prematura, del padre. Quella che può apparire come la rivoluzionaria del Teroldego ha saputo trovare una strada, la sua. Una strada fatta di scelte coraggiose, a volte anche impopolari, con un unico obbiettivo in mente, fare del Teroldego un esempio di qualità. Dal rinnovo degli impianti con selezioni massali accurate, alla scelta del legno piccolo, al passaggio alla biodinamica in vigna iniziato nel 2002.
Piano piano viene alleggerito l’apporto legno, dalla scorsa vendemmia non sono state acquistate nuove barrique, e quelle che andranno in esaurimento verranno rimpiazzate con anfore di terracotta e tini di media capacità.
Vista dall’esterno, questa “Lunga Marcia” verso un vino di fascia alta e, al contempo, estremamente territoriale può sembrare cosa da poco. Invece è stato ed è tutt’oggi un percorso irto di difficoltà, dove anche il più piccolo particolare va seguito, controllato e verificato sul campo. La teoria non basta, servono intuito, anni di esperienza ma anche e soprattutto una voglia di crescere e misurarsi con la vigna e il suo frutto.
Le cose che più mi ha colpito nel dialogo con Elisabetta sono la sua estrema pacatezza nell’esporre idee e metodi di lavoro e la sua capacità di coinvolgere i suoi collaboratori in scelte solitamente difficili da digerire, ad esempio coinvolgere i vecchi operai nelle pratiche biodinamiche.
E’ l’ora di lasciare la parola al vino. Nosiola “anfora” 2009, 8 mesi di macerazione sulle bucce. Paglierino appena un filo carico, naso esplosivo tra agrumi e spezie, non buccioso. Bocca ricca, facile il sorso. Spalla acida notevole, a sostenere una struttura solidamente quadrata. Vuotato il bicchiere in un attimo, a costo di sembrare un ubriacone. Della serie “saranno famosi”, grande lavoro di recupero di un vitigno praticamente abbandonato.
Teroldego “anfora” 2009 da uve del vigneto Sgarzon Ancor vinoso eppure già fatto, pulitissimo il naso tra frutta rossa e erbe in fiore. Potente in bocca, fresco sapido.
Teroldego “anfora” 2009 da uve del vigneto Morei più pronto, spigoli quasi smussati, meno potente del fratello, sicuramente (ora) più elegante. Bocca dritta, profondo, senza inutili cattiverie. Per entrambi vinificazione di grande rispetto, l’uva non coperta da nulla, succo fermentato null’altro.
… tornano alla mente i particolari di cantina, le piccole cose che fanno fare grandi vini. La pompa volumetrica per i travasi, macchina molto costosa, lavora con grande delicatezza, i coperchi in acciaio delle anfore, costruiti ad uno ad uno per adattarsi al profilo sagomato amano del bordo del contenitore.
Si è fatto tardi, diluvia ancora, scappiamo promettendo di tornare per visitare le vigne, un grazie di cuore alla Regina del Teroldego.