Pubblichiamo con piacere l’interessante articolo di Davide Bonucci, curatore di Enoclub Siena, sulla proposta di variazione al disciplinare di produzione del Rosso di Montalcino.
Lo scempio si sta per compiere. Accordi fatti, i grossi produttori e diversi dei piccoli sono favorevoli a questa bella zappata nei piedi. I vitigni internazionali entrano nella composizione del Rosso di Montalcino, finora 100% sangiovese. E sia, il 15 febbraio decideranno l’inizio della loro morte commerciale. Non solo per il Rosso di Montalcino ma, a caduta, sulla credibilità e l’unità di intenti di tutto il comprensorio ilcinese. Con il beneplacito anche di qualche nome che non avrei mai creduto, lì la delusione più grande. La vittoria dell’ottusità, della non comprensione, dell’ignoranza sulle dinamiche e le richieste attuali del mercato (autoctono, autoctono, autoctono… sembra un mantra, ma a Montalcino devono essere davvero sordi come campane!), sui gusti attuali, su come gira il mondo fuori dal colle ilcinese. Le cose a Montalcino cambieranno parecchio e io zitto non ci starò, aspettiamo il 15, poi qualcosa dirò, a partire dall’elenco dei produttori favorevoli a questa bella mossa autolesionista.
Cosa fare a questo punto? Promuovere ed evidenziare chi ben pensa e ben lavora a Montalcino, chi vende con la forza del vino buono e non dei marchi. E cominciare a ragionare criticamente su chi chiacchiera bene ma razzola male. E ce ne sono, anche tra chi il 15 febbraio, timidamente, alla chetichella, zitti zitti senza far sapere niente a nessuno, avalleranno il Rosso di Montalcino 85% sangiovese e 15% merlot o altra astrusità.
E’ uno sfogo amaro, ma anche una molla per fare, ora più che mai, qualcosa che possa incidere, facendo gruppo, continuando a creare questa rete attiva di piccoli produttori, come fatto finora. Come già iniziato a fare nel Chianti Classico, dove una decisione analoga degli anni passati consegna adesso un territorio tappezzato di vigneti che danno vino che nessuno vuole più. I famigerati “migliorativi”, gli internazionali, quelli che in Australia, in Sudafrica e Sudamerica costano meno e piacciono pure di più, per chi li ama. Questa analoga decisione sul Chianti Classico ha mandato completamente in crisi un marchio, risollevato delle Riserve, dagli autoctoni, dalle riscoperta delle peculiarità del sangiovese, con terreni veramente vocati ma purtroppo non ancora oggetto di precise zonazioni (ricordo che la storia di maggior successo nel Chianti attualmente è Montevertine, fuori dalla denominazione… meditare, prego). L’esempio della Borgogna e della sua precisa identificazione con il suo vitignio, il pinot noir, sarebbe un’altra grande lezione secolare, da mandare a memoria. Qua il vitigno ce l’abbiamo, il terreno pure, il nome anche, però…
Ecco, a Montalcino di questa lezione non sanno proprio cosa farsene, preferiscono batterci la testa bella forte, nonostante avvertimenti ed esempi eclatanti, con cantine piene di bottiglie “blendizzate” che non si vendono prima con un nome e nemmeno dopo con un altro. Gli allocchi sono finiti: nè gli importatori nè i consumatori sono disposti a farsi prendere in giro dai nomi e dalle etichette. Se il vino non gira, non piace, non lo ricomprano!
Quindi addio al Rosso di Montalcino come lo abbiamo conosciuto finora, a questo punto la qualità la cerchiamo nei nomi dei produttori che continueranno a credere nel sangiovese in purezza e basta: le denominazioni coerenti ed univoche, la forza di un consorzio compatto verso la qualità… beh, quelle sono cose che a Montalcino non sanno fare più. Scusateli.
Articolo di Davide Bonucci
Pubblicato il 10 febbraio 2011