Pubblichiamo qui l'intervento a distanza che Francesco Sedilesu ci ha portato alla conversazione pubblica "Dieci anni di vini naturali italiani" moderata da Sandro Sangiorgi nel febbraio 2018

Molti degli interventi sono andati perduti (per il momento), in quanto solo verbali. Riprendiamo qui la lettera di Francesco Sedilesu, vignaiolo a Mamoiada in Sardegna, con la voglia di riprendere il discorso sul vino naturale che si è aperto in quell’occasione.
Premessa
Il vino naturale come nome, oggi sembra sia in crisi, ma dopo averlo pronunciato per la prima volta ha acquisito una sostanza difficilmente cancellabile, derivante dal desiderio di produttori e consumatori di rispettare l’ambiente, produrre e consumare prodotti meno industriali, meno artefatti, più genuini, più, più e meno e ancora più…
Tante definizioni e significati pari almeno a quelle che si possono dare del naturale come tecnica di produzione, ma questo credo sia secondario, basti pensare al termine biologico che non è messo molto meglio. Ciò che conta è quello che significa per le persone e di fatto rispetto al bio, anche se non chiaramente definito, rappresenta e identifica certamente un’aspettativa più alta. Con questa consapevolezza se si pensa di progredire e andare oltre alle leggi agricole in vigore (vedi Bio) che, non bisogna dimenticare, sono frutto del lavoro degno fatto in passato da tanti agricoltori, si deve trovare un punto fermo che dia una direzione certa e meno volubile, sotto la spinta delle necessità di mercato, che rappresenti un effettivo passo avanti verso un’agricoltura naturale a largo raggio, tanto da comprendere un territorio e non più il singolo agricoltore che è il punto debole della catena.
Per essere più chiaro intendo dire che, deve essere la comunità agricola di un territorio, organizzata in forma associativa, si intende solo per gli aspetti gestionali del regolamento, a candidarsi e candidare il territorio a fare il naturale, non più la singola azienda che risulta troppo debole per portare avanti da sola questa attività. Facilmente i territori del naturale sarebbero più significativi delle Doc, con tutti i vantaggi ma anche le problematiche che comporta. Però io credo sia l’unica strada percorribile.
Dopo questa introduzione accetto l’invito di Barbara di pubblicare questo testo scritto un anno e mezzo fa, per un incontro che si è svolto durante Sorgentedelvino LIVE 2018 con la guida di Sandro Sangiorgi, a cui non potevo partecipare. Personalmente non faccio parte adesso, attivamente, di questo movimento, ma sono in attesa di quale direzione intende prendere. Sono viticoltore di un territorio e questo credo sia fondamentale.
Lettera di Francesco Sedilesu
Mamoiada, 10 febbraio 2018
Prima di tutto mi dispiace di non essere presente a questo incontro molto importante per il naturale, saluto e ringrazio tutti voi produttori e in particolare Sandro Sangiorgi e Barbara e Paolo. Su invito di Barbara faccio questo intervento dicendo la mia.
Penso che il movimento del vino naturale abbia fatto tanto in questi anni e chi ci ha lavorato dal punto di vista produttivo e organizzativo, credendoci onestamente, non può che essere ringraziato. Come sappiamo però ci sono luci e ombre e spesso dalle aziende, il naturale può essere considerato un mezzo di marketing modaiolo che tira sul mercato e di certo il vino, la terra, le persone non guadagnano in presenza di visioni eccessivamente utilitaristiche. Per forza di queste cose, tanti chiedono a gran voce una evoluzione tesa ad evitare simili deviazioni che possono delegittimare questo movimento e far fallire quella che, inizialmente, è stata un’istanza di portata epocale in agricoltura.
Quindi il movimento del naturale si trova ad una svolta e deve decidere se fare il percorso che ha fatto un altro movimento simile in agricoltura, il biologico, portatore anche lui di tante attese, mantenute però solo in parte, in quanto è stato il suo sviluppo e la sua normalizzazione con un regolamento a livello europeo, a decretarne i limiti. Dalle sue ceneri, infatti, credo abbia preso corpo il movimento del naturale ,che rischia però, di ripetere anch’esso una parabola simile, proprio nel realizzare il suo compimento, inteso come fissazione di un disciplinare che fissa delle regole, con tante componenti influenti da accontentare e con il rischio di perdere di vista l’obbiettivo originale. Se anche il naturale perdesse la sua scommessa non si tratterebbe semplicemente di creare un altro movimento che tiri ancora una volta più su l’asticella; il nome naturale, nella direzione di rispetto del vino, della terra rappresenta una sfida radicale, difficile da travalicare. Un disciplinare va fatto credo ma, deve fissare, più che delle norme sul come coltivare la terra e fare il vino, che pure vanno fatte, dei capisaldi che tracciano una strada, che servono da educazione per gli agricoltori. Il naturale si deve quindi interrogare e pensare di percorrere una strada più sicura.
Si deve, credo, partire dal Vino, sostantivo senza aggettivi, per essere sicuri di non sbagliare. Il vino, sappiamo da sempre, è espressione di un territorio e se vogliamo trovare le migliori espressioni, le cerchiamo non nelle singole aziende ma in un territorio particolare, più che nel vitigno, più che nelle Doc , più che in qualsivoglia disciplinare. Nel territorio andiamo a cercare i produttori che stimiamo, quelli che con il loro vino e la loro attività, esprimono l’anima di quel territorio; rispetto della terra, cultura, una tradizione viva e dinamica. I produttori che hanno questa natura, sono nel loro insieme custodi di quella terra. La forza di un territorio è la dimensione comunitaria. Questo io credo sia molto importante sia per la qualità della vita che è intuibile migliora, sia la responsabilità condivisa che può essere la garanzia affinché anche i produttori più deboli, ma onesti, possano essere aiutati e sostenuti prima che sanzionati. Non più quindi il singolo produttore ma una comunità di persone. Non più legati in organizzazioni che hanno di mira unicamente la valorizzazione dei propri prodotti sul mercato con tutti i limiti che conosciamo. Si hanno quindi tre capisaldi da cui partire: il vino, il territorio, la comunità di agricoltori del territorio.
Se si indicano questi capisaldi nel disciplinare e il termine naturale si associa ad essi, un successivo regolamento europeo non potrà prescindere da questi e le aziende puramente imprenditoriali o industriali, se interessate ad associare il loro nome ad un dato territorio e al naturale , non potranno aggirare la condizione fondamentale di far parte della comunità territoriale che è garante degli altri capisaldi.
Brevemente qualifico i capisaldi:
Il vino naturale non c’è bisogno che mi dilunghi, il vino deve essere Vino e buono senza difetti, questo come enunciato, oltre non si può andare, per il resto è il mercato che deve maturare. In vigna biologico o biodinamico o vie intermedie vanno bene in attesa di evoluzione. Ogni singolo territorio, potrà, se vuole, dal biologico in poi, adottare disciplinari più restrittivi, in aderenza alle sue particolari caratteristiche.
Il territorio: Si intende terroir. Come sappiamo la sua vocazione a fare il vino è molto importante. Se la vocazione non c’è, da li nascono tutti i problemi e la necessità di allargare le maglie per consentire a tutti di fare il vino naturale è un errore da non fare, vedi il Bio. Sarebbe auspicabile, per senso di responsabilità e onesta adesione ai principi fondanti, che ogni territorio abbia fiducia nella propria tradizione valorizzando le proprie produzioni a cui si è naturalmente vocati, anche se in questo momento danno redditi inferiori.
La comunità agricola naturale del territorio. Devono farne parte i viticoltori naturali o meglio gli agricoltori naturali, tutta la comunità agricola ad essere garante del territorio. Riuniti in strutture associative promuovono la crescita e l’educazione. Tutta una tradizione è da crearsi in questo senso e per ora ci si potrebbero scambiare le esperienze se vi sono territori che sperimentano in questa direzione. Le piccole comunità agricole, non stravolte da forti successi commerciali, io credo non siano lontane da questa visione.
Saluti a tutti.
Francesco Sedilesu