vini, persone, territori, tradizioni

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L’identità del vino e la trasparenza dell’etichetta

Leggere l'etichetta del vino

Pubblichiamo qui integralmente l’intervento tenuto dall’avvocata Antonella Anselmo nell’ambito del convegno organizzato dal Consorzio Vini Veri a Cerea il 20 marzo 2015 dal titolo: “Il vino deve avere l’etichetta trasparente“. Una panoramica lucida e approfondita sulla questione dell’etichettatura del vino che non tralascia gli attuali scenari politici europei ed internazionali in cui ci sta muovendo, Codex Alimentarius e Trattato Transatlantico (TTIP) in primis. Ringraziamo Antonella Anselmo per l’intervento e l’articolo, ma anche Sandro Sangiorgi per la moderazione dell’incontro e la revisione del testo realizzata con Gretel Hohenegger.

E’ possibile leggere l’intervento qui di seguito oppure scarica l’articolo “L’identità del vino e la trasparenza dell’etichetta” di Antonella Anselmo in formato pdf

Sommario
  1. La politica agricola dell’Unione Europea e il Mercato Unico
  2. Viticoltura e vino
  3. La normativa sul vino biologico
  4. La PAC fino al 2020
  5. Le indicazioni obbligatorie e facoltative in etichetta
  6. Conclusioni

La politica agricola dell’Unione Europea e il Mercato Unico

È indubbio che nella commercializzazione e comunicazione del vino vi sia una differenza tra forma e contenuto. A differenza degli altri alimenti, per il vino non è obbligatorio (o comunque consentito) esporre in modo completo la composizione integrale né le tecniche produttive da cui deriva. Ingredienti, additivi, coadiuvanti tecnologici e la natura stessa del processo di vinificazione prescelto rimangono in gran parte invisibili in etichetta.

Ma quali sono le ragioni di tale scelta?

Le normative oggi vigenti sono prevalentemente di derivazione europea. La politica agricola, fin dall’origine dei Trattati CEE, rientra tra le competenze sovranazionali ed è uno dei settori principali del Mercato Unico. La diffusione di una coscienza ambientalista ha poi contribuito ad ampliare la prospettiva collegando l’agricoltura all’alimentazione, all’uso delle risorse naturali e al governo del territorio. La normativa europea oscilla tra l’esigenza di armonizzazione, ossia il tentativo di avvicinare quanto più possibile le legislazioni dei singoli Stati membri, e quella di garantire le libertà, non solo economiche, nel rispetto dei diritti fondamentali, quali la salute, l’ambiente, la custodia delle risorse naturali. Tuttavia l’armonizzazione, spinta oltre parametri di ragionevolezza, può divenire omologazione, ossia perdita di quelle ricchezze e varietà che compongono il bagaglio culturale e socioeconomico delle realtà europee. Analogamente, le libertà – linfa vitale di qualsiasi processo di conservazione e rinnovamento – possono essere minacciate dall’eccesso di regolamentazione.

Nel settore vitivinicolo le regole europee di produzione e commercializzazione perseguono diversi obiettivi: a) la tutela del consumatore, b) il sostegno alla produzione agricola, c) la garanzia di regole di mercato improntate a lealtà, correttezza e libera concorrenza. Per tale ragione l’etichetta, nella misura in cui riporti informazioni corrette, veritiere e complete, diviene uno strumento fondamentale per soddisfare gli interessi dei consumatori, ponendo gli stessi nella condizione di operare una scelta autonoma e consapevole. Un’etichetta chiara e trasparente, in linea di principio, è anche garanzia di concorrenza leale tra i produttori. E infatti l’art. 3 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, nel delineare gli Obiettivi generali delle informazioni dispone che: «la fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche». Tra le informazioni obbligatorie il medesimo regolamento (art. 4) annovera quelle su identità e composizione, proprietà o altre caratteristiche, e quelle sulla protezione della salute, tra cui certamente sono ricomprese le informazioni su sostanze che provocano allergie o intolleranze. E talune di queste sostanze, possono essere utilizzate, proprio nel corso della vinificazione: solfiti, caseina, albume, colla di pesce, ecc. Anche le denominazioni di origine, le indicazioni geografiche e le menzioni tradizionali devono essere in etichetta. Al riguardo non si può non osservare che, da un lato, il loro riconoscimento implica un regime di protezione, adeguamento ai disciplinari e aspirazione alla garanzia di qualità, dall’altro, lo stesso meccanismo può creare distorsioni e alterazioni del libero mercato e della libera circolazione delle merci. Ma ogni normativa ha, oltre alle regole, anche le eccezioni. Il punto è capire se le deroghe previste nel settore vitivinicolo siano giustificate e adeguate rispetto agli obiettivi sanciti in via generale e d’interesse pubblico.

Viticoltura e vino

Viticoltura e vino presentano caratteri del tutto peculiari. Caratteri di cui il legislatore deve tener conto. Per comprendere l’essenza stessa del vino e della viticoltura appare utile il rinvio alla distinzione pasoliniana tra sviluppo e progresso. Il primo termine implica l’idea di una crescita produttiva continua, esponenziale, ed è inteso in senso strettamente economico e, generalmente, nella prospettiva dei produttori. Il secondo, viceversa, lega il benessere materiale e le sue possibili implicazioni socioculturali e si espande verso orizzonti ampi, capaci di accogliere nuovi valori. La concezione di fondo dell’Europa attuale è di stampo economico e liberista. Il vino è essenzialmente considerato come “merce”, oggetto di atti di trasferimento tra determinate categorie di soggetti: produttori, distributori, consumatori, tutte declinazioni dell’unitaria nazione di homo oeconomicus. Nella teoria economica classica, che affonda le radici nell’empirismo inglese, si intende per homo oeconomicus un modello antropologico e astratto fondato su individualismo e razionalità, intesa quest’ultima come precisione nel calcolo e interesse esclusivo per la cura dei propri interessi individuali. L’impianto macroeconomico fondato su tale modello richiede di riportare tutte le relazioni economiche a parametri certi: individualismo, impianto utilitaristico e razionalità calcolante. Questa visione porta, da un lato, alla necessaria serialità della produzione (beni di consumo di massa), anche nel campo della produzione culturale, espressione del fordismo e del post-fordismo e, dall’altra, alla prevedibilità dei comportamenti e delle propensioni al consumo, queste ultime assicurate dai media e dalle pubblicità che plasmano i gusti, le mode e i bisogni, reali e voluttuari che siano. Ma le stesse teorie economiche evidenziano l’esistenza di altri modelli antropologici, non necessariamente legati all’individualismo e, dunque, alla remunerazione della prestazione, e comunque più vicini ai comportamenti reali. L’uomo, infatti, non agisce solo in funzione del guadagno, ma anzi, fuori e dentro il mercato è spesso guidato da motivazioni diverse dal denaro: la solidarietà, la generosità, la responsabilità verso i più deboli o la tutela ambientale. Molte teorie economiche evidenziano la rilevanza della “relazione” e la stretta correlazione tra l’economia e i comportamenti sociali. Altre teorie evidenziano come, accanto al denaro, anche il dono possa assumere un significato pregnante per l’analisi dei fenomeni economici. L’interazione dei diversi saperi – filosofici, sociali ed economici – approda verso nuovi modelli antropologici, più ricchi e vicini al vero, ridimensionando l’asfittica figura dell’homo oeconomicus. Ora l’attività agricola, specie quella di piccole e medie dimensioni, che in Europa costituisce un importantissimo tassello dell’intero settore vitivinicolo e della sua identità millenaria, difficilmente s’identifica con l’attività industriale: sia per l’influenza che subisce a causa delle variazioni climatiche e ambientali sia in ragione del forte legame con la memoria, i luoghi e le tradizioni.

Analogamente, anche il vino stenta a esaurirsi all’interno della categoria di bene-merce.

Elemento costitutivo della cultura occidentale il vino diviene simbolo del progresso dell’umanità, dai profondi valori simbolici civili e religiosi. Dunque elemento culturale, artigianale e quasi artistico, derivato dalla interrelazione millenaria tra Uomo e Natura e connotato delle specificità di un dato territorio. Il vino è anche dinamismo e variabilità, in stretta connessione con il Tempo: non un prodotto esclusivamente “materiale”, inerte e immutabile, ma essenza viva, in continua trasformazione, dialogante con l’ambiente circostante. E questo dinamismo è l’oggetto principale della ricerca organolettica, che si affianca all’analisi chimica, ma che è volta ad afferrare l’elemento immateriale ed emozionale del vino, il lato spirituale, l’anima, la cultura e la testimonianza di chi lo crea. Uno specchio dell’uomo, nella concezione antropomorfica della migliore critica enologica italiana.

Questa premessa è dunque anticipazione di una personale convinzione: nessuna norma di legge, nessun regolamento, nessun disciplinare riuscirà mai a fissare in modo completo la vera identità del vino, quella concreta, viva e mutevole presente in ogni bottiglia. Si contrappongono, allora, una nozione di vino astratta e predefinita, quella del legislatore, che concepisce un prodotto ipotizzato come industriale e seriale, e una concreta, tangibile, inafferrabile della singola annata, del singolo produttore, delle sue scelte di vinificazione. E forse proprio in questa indeterminatezza risiede il suo fascino, le continue sorprese che si svelano al degustatore. Ma alla nozione astratta, ove implichi qualità ed espressività, ci si può avvicinare. Anzi è necessario tendere a tale obiettivo, anche se irraggiungibile. Per fare questo occorre che nella fase di formazione e regolamentazione le autorità preposte tengano in debito conto la natura polimorfa e le diverse interpretazioni del fare il vino. Occorre rendere visibili quei profili che gli conferiscono peculiarità inconfondibili rispetto ad altri prodotti dell’agroalimentare. A questo punto è utile una breve analisi che evidenzi le dinamiche – e le criticità – della produzione normativa sul settore vitivinicolo, con particolare riferimento al comparto biologico, nell’auspicio di futuri miglioramenti di metodo.

La normativa sul vino biologico

Il primo regolamento sul biologico, il Reg. 2092/1991 (abrogato dal 2009 e sostituito dal regolamento n. 834/2007) concerne esclusivamente il metodo di produzione biologica di prodotti agricoli, tra i quali le uve da vinificazione e gli standard sulle etichettature. I processi di vinificazione biologici non sono contemplati dalla normativa di prima generazione, ma sono elaborati in forma di autoregolamentazione direttamente da associazioni e consorzi di produttori bio. Viene ad esempio elaborata la Carta Europea per la Vinificazione Biologica, in cui confluiscono i principi della produzione biologica: la biodiversità in vigna, la tutela della fertilità e l’attenzione alla vita del suolo, l’adozione di approcci alternativi alla chimica per il contrasto alle malattie e ai parassiti, la sostenibilità nella lavorazione delle uve e nello stoccaggio, la qualità e il controllo della provenienza degli ingredienti del vino, la qualità dei lieviti, l’uso di lieviti selvatici e il ricorso alle fermentazioni spontanee, le restrizioni sull’uso di additivi e solfiti, le restrizioni su talune tecniche di lavorazione, su strumenti e attrezzature. Nel 2004 la Commissione UE lancia il Piano d’azione europeo per il cibo e l’agricoltura biologica 2006-2009. E’ contestualmente avviato dalla Commissione lo studio Orwine che, in seguito, sarà alla base del futuro Regolamento di seconda generazione. Assai indicative sono le premesse al Reg. 2092/1991 (tecnicamente i “Considerando”), che spiegano la genesi dell’interesse dell’Europa a una regolamentazione di settore. Qui si legge che è opportuno garantire condizioni di concorrenza leale in questo ambito di mercato e contrastare la tendenza all’anonimato. In altri termini, è come se il legislatore si accorgesse che esiste un settore produttivo e commerciale, divenuto rilevante, che assume una connotazione ben precisa, che non può rimanere fuori dal quadro della regolamentazione europea. Tra gli obiettivi sono quindi indicati la trasparenza a tutti i livelli della produzione e la preparazione per essere più credibili agli occhi del consumatore, i principi minimi affinché i prodotti bio possano essere indicati come tali; i procedimenti “flessibili” della produzione, le etichettature che indichino il legame tra metodo di produzione biologico e gli ingredienti ottenuti tramite il citato metodo; la necessità di definire le restrizioni nei processi di produzione agricola (che implicano un apporto limitato di concimi e forti restrizioni dei fertilizzanti/antiparassitari). Con il Reg. 834/2007, sulla produzione biologica e l’etichettatura, viene abrogato e sostituito il Reg. 2092/91. Questa normativa, definita di seconda generazione, include per la prima volta il “vino” biologico, ma non disciplina ancora le tecniche di produzione del vino. Fissa tuttavia i principi generali e specifici sull’agricoltura biologica, la trasformazione degli alimenti e la produzione vegetale. Anche in questa occasione l’Europa prende atto dell’esistenza di un mercato specifico, in graduale aumento; ne riconosce il carattere strategico per orientare nel futuro i mercati agricoli. E’ rappresentata l’esigenza di tutelare e giustificare la fiducia dei consumatori e riproporre l’incompatibilità degli OGM rispetto al settore bio. Recependo chiaramente le regole private di autoproduzione, il Regolamento detta la necessità di garantire processi ecosostenibili mediante la difesa del suolo e delle risorse. Viene anche stabilito il principio della necessaria presenza di almeno il 95% degli ingredienti biologici come condizione di uso del termine bio in etichetta e la clausola di equivalenza per i prodotti bio provenienti dai Paesi Terzi, transfrontalieri, secondo il Codex Alimentarius, su cui si dirà oltre. L’art. 23 del Regolamento riguarda le etichettature bio o Eco, fissando standard di conformità e la regola secondo la quale il 95% in peso degli ingredienti debba essere di origine agricola biologica. Sono poi imposte come obbligatorie le indicazioni sull’organismo di controllo, sul logo comunitario bio (art. 24), e infine sul luogo in ambito UE o meno della coltivazione agricola delle materie prime. A esclusione del settore vitivinicolo, i limiti sugli additivi ammessi vengono rinviati a successive disposizione di attuazione sull’etichettatura. Con il Reg. 271/2010, infine, diviene obbligatorio il “logo di produzione biologica dell’UE”, marchio collettivo UE registrato tra i marchi europei. Il successivo Reg. 203/2012 è il primo regolamento UE sul vino biologico avente a oggetto anche la disciplina delle tecniche di produzione. Nato sulla base dello Studio Orwine, e commissionato a tal fine dalle istituzioni comunitarie, è stato definito come il solo compromesso politico possibile tra piccoli e grandi produttori. Con la possibilità di revisione entro l’agosto 2015 dell’uso di talune sostanze e tecniche di produzione, il Regolamento contempla il divieto di talune pratiche enologiche convenzionali (la concentrazione parziale attraverso il raffreddamento, l’elettrodialisi per la stabilizzazione tartarica, la de-alcolizzazione parziale, le nano e ultrafiltrazioni, ecc.) e l’ulteriore divieto di talune sostanze (acido sorbico, lisozima, ammonio bisolfito, caramello, solfato di ammonio, ecc.). Il medesimo Reg. 203/2012 ammette viceversa altre sostanze e coadiuvanti, quali, il mosto concentrato, le cellule di lievito, la gelatina alimentare, la colla di pesce, l’albumina proveniente dall’uovo, i tannini, la gomma di acacia, le proteine vegetali provenienti da frumento o piselli, ecc.

L’evoluzione della normativa sulla vitivinicoltura deve essere inquadrata all’interno delle linee di sviluppo delle politiche agricole europee.

Con il Reg. 1308/2013, in materia di organizzazione comune dei mercati agricoli, sono fissate le nuove linee di politica agricola europea (PAC 2014-2020), ossia le sfide dell’alimentazione, dell’uso delle risorse e del territorio. L’Europa pone l’esigenza di fissare campagne di commercializzazione quanto più possibile rispondenti ai cicli biologici e di assicurare un equo tenore di vita alla popolazione agricola. Con espresso riferimento al settore vitivinicolo il Reg. 1308/2013 prevede misure di sostegno sulle specifiche realtà territoriali. Tra le misure essenziali di sostegno è individuata la promozione e commercializzazione dei vini dell’Unione, anche mediante investimenti su innovazione e ricerca.

Si contempla poi l’opportunità di:

  • a) ammettere agli aiuti strumenti preventivi come l’assicurazione, i fondi di mutualizzazione e la vendemmia verde per agevolare un approccio responsabile alla crisi;
  • b) garantire maggiore efficienza e razionalità di accesso ai fondi dell’Unione;
  • c) assicurare il passaggio al nuovo regime sulle autorizzazioni ai nuovi impianti a fronte della riduzione di estensioni vitate e assecondare, quindi, l’aumento di domanda del vino di qualità;
  • d) disciplinare i caratteri fondamentali del regime autorizzatorio anche alla luce dell’internazionalizzazione/globalizzazione del commercio;
  • e) rafforzare le strutture competitive;
  • f) delegare la Commissione ad adottare atti per la commercializzazione che tengano conto delle caratteristiche naturali ed essenziali dei prodotti;
  • g) garantire la corretta informazione del consumatore allo scopo di assicurare l’accesso a prodotti di qualità (esente da difetti) e soddisfacenti (qualificati tali per definizione tecnica, classificazioni, presentazione, marchiatura, etichettatura…);
  • h) definire determinate pratiche enologiche e restrizioni per la produzione del vino;
  • i) affidare alla competenza degli Stati membri di classificare le varietà di uve da vino;
  • l) autorizzare gli Stati membri a limitare o escludere il ricorso a determinate pratiche enologiche;
  • m) prevedere e predeterminare delle menzioni di qualità facoltative al fine di descrivere peculiarità o modalità di produzione evitando ingannevolezza del consumatore pratiche abusive del mercato;
  • n) delegare la Commissione del potere di adottare determinati atti per quanto riguarda la riserva di una menzione facoltativa supplementare e la fissazione delle relative condizioni di impiego, la modifica e la cancellazione;
  • o) definire criteri di equivalenza per prodotti provenienti dai Paesi terzi.

Un discorso a parte merita il concetto di qualità e denominazione di origine. Secondo il Reg. 1308/2013 nell’Unione il concetto di vino di qualità si fonda, tra l’altro, sulle specifiche caratteristiche attribuibili all’origine geografica del vino. Il consumatore individua i vini grazie alle denominazioni di origine protetta e alle indicazioni geografiche protette. Per tali ragioni l’Europa intende fissare un quadro unitario per individuare le “domande” e stabilire al contempo condizioni più rigorose a tutela della qualità. In questo contesto si prefigura anche una futura registrazione a livello europeo, e non più nazionale. Le DOP e le IGP inoltre diventano strumenti di protezione e tutela che inibiscono gli usi che sfruttano la notorietà dei prodotti conformi. Per incoraggiare la concorrenza leale, e non trarre in errore i consumatori, si auspica che la protezione debba essere estesa anche ad altri servizi e prodotti non contemplati direttamente dal Regolamento. Per tenere conto delle pratiche esistenti in materia di etichettatura, si stabilisce l’opportunità di delegare alla Commissione il potere di adottare determinati atti allo scopo di autorizzare l’uso del nome di una varietà di uva da vino che contiene o è costituito da una DOP o da una IGP. Si pone poi l’esigenza – a tutela del consumatore – di proteggere anche le menzioni tradizionali (informazioni sulle caratteristiche e sulla qualità dei vini complementari alle informazioni fornite da DOP e IGP) e di armonizzare ulteriormente i sistemi di etichettatura in ambito UE.

Le indicazioni obbligatorie e facoltative in etichetta

Oltre al già citato Regolamento generale (UE) n. 1169/2011 sugli alimenti, la complessa disciplina sulle etichettature e sulla presentazione dei prodotti vitivinicoli è dettata principalmente dal Reg. CE 1234/2007 e dal Capo IV (art. 49 e ss.) Reg. CE n. 607/2009, recepita in Italia con il D.Lvo n. 61/2010 e, quindi, con i decreti del Ministero delle Politiche agricole e forestali, tra cui quello di riordino del 13 agosto 2012 e relativi Allegati. Per etichettatura si intendono i termini, le diciture, i marchi di fabbrica o di commercio, le immagini o i simboli figuranti su qualsiasi imballaggio, documento, cartello, etichetta, nastro o fascetta che accompagnano un dato prodotto o che ad esso si riferiscono. Per presentazione s’intende, invece, qualsiasi informazione trasmessa ai consumatori tramite il confezionamento del prodotto in questione inclusi la forma e il tipo di bottiglia. Le indicazioni che possono figurare nell’etichettatura e nella presentazione dei prodotti vitivinicoli commercializzati in ambito UE o destinati all’esportazione si distinguono in “obbligatorie” e “facoltative”, e a loro volta variano a seconda che i vini siano DOP, IGP o senza denominazione di origine. Tra le indicazioni obbligatorie per i vini DOP e IGP figurano, non solo la denominazione o l’indicazione geografica protetta, ma il titolo alcolometrico volumico effettivo, l’indicazione della provenienza, quella dell’imbottigliatore e/o importatore, l’indicazione del tenore di zucchero per talune tipologie di vino, la presenza di allergeni, il numero del lotto, le quantità, l’annata delle uve, per i solo DOP. Circa la presenza di allergeni, oltre soglie predefinite, l’obbligatorietà si limita all’indicazione dell’anidride solforosa (i solfiti) e, per i vini prodotti e/o imbottigliati a partire dal 1˚ luglio 2012, anche quella delle proteine del latte e delle uova, derivate dai processi di chiarificazione. Nessun’altra menzione di coadiuvanti o elementi è obbligatoria. Il che differenzia notevolmente la disciplina del vino da quella prescritta per gli altri alimenti. Tra le indicazioni facoltative, risultano tra le altre, le varietà di vite, le specifiche menzioni tradizionali (classico, storico, riserva, superiore, passito, vigna) e, per i vini DOP e IGP, le unità geografiche più piccole o più grandi. In ultimo, le indicazioni relative a determinati metodi di produzione e «altre indicazioni veritiere relative al prodotto vitivinicolo». Sui metodi di produzione si tratta dell’indicazione dell’uso del legno (barrique o botte) durante i processi di fermentazione, maturazione o invecchiamento. Come già indicato, è consentito l’utilizzo in etichettatura di ulteriori indicazioni «veritiere e documentabili» rispetto a quelle già elencate «a condizione che non siano tali da creare un rischio di confusione nello spirito delle persone a cui sono destinate tali informazioni, segnatamente per quanto concerne i nomi delle DOP e IGP protette e i nomi delle menzioni protette» (art. 14 decreto 13 agosto 2012). Accade così che le esigenze della tutela delle DOP e delle IGP divengono, da un lato, restrizioni al libero mercato e alla concorrenza e, dall’altro, inibiscono la libera indicazione in etichetta di ulteriori informazioni, magari utili al consumo consapevole. Dipende dunque dagli organi amministrativi e di controllo deputati all’interpretazione e applicazione della normativa assicurare che le ragioni della tutela delle denominazione d’origine e del consumatore non producano effetti eccessivi, irragionevoli e sproporzionati.

Conclusioni

Appare evidente che da un punto di vista metodologico la normativa UE insegue lo sviluppo del mercato per disciplinarlo, armonizzarlo e indirizzarlo. I settori di originalità e nuova attrattività per i consumatori sono inevitabilmente assorbiti secondo le dinamiche del liberismo economico e degli investimenti, ai quali segue l’esigenza della regolazione del mercato. Tuttavia il sistema normativo, qui sinteticamente tracciato, pur complesso e apparentemente esaustivo, è flessibile e aperto agli stimoli del commercio internazionale.

Nel prossimo futuro potrebbero risultare determinanti, al riguardo, l’Accordo transatlantico sul commercio e sugli investimenti USA-UE (il TTIP), in fase di negoziazione da parte della Commissione UE, che investirà tutti i settori dei beni e servizi e che includerà al suo interno anche il settore vitivinicolo, nonché il Codex Alimentarius, sulla sicurezza alimentare e il commercio internazionale. Quest’ultimo, già contemplato dai Regolamenti UE citati e rilevante nel commercio con i paesi esterni all’Unione Europea, è una raccolta di norme internazionali adottate da un’apposita Commissione istituita nel 1962 dalla FAO e dall’OMS, con lo scopo di facilitare gli scambi internazionali e garantire la tutela del consumatore. Questo complesso di norme, in continua evoluzione, interessa il 98% della popolazione mondiale e assume sempre più un’efficacia vincolante per gli Stati aderenti. Dunque si tratterà, in entrambi i casi, di super-norme, capaci di condizionare sensibilmente la produzione e la commercializzazione anche in ambito UE, specie nel caso dei prodotti non certificati DOP o IGP.

In questa prospettiva appare decisivo, non solo seguire i processi di elaborazione di tali normative, ma utilizzare gli strumenti di partecipazione e rappresentanza degli interessi di categoria, affinché sia garantito un controllo democratico a monte dei processi decisionali e sia mantenuta la ricchezza e varietà della vitivinicoltura europea.

Specie nel bicchiere.

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