Pino Ratto, arriviamo da lui nella sua azienda posta sopra Rocca Grimalda a pochi chilometri da Ovada, in una bella mattina di primavera. La vecchia cascina, gli Scarsi, con le sue viti di oltre settant’anni ci accoglie. E ci accoglie Pino, ci accolgono le note del suo clarinetto. Due fette di salame e i suoi Dolcetti nel bicchiere.
La vigna è li sopra che ci guarda, siamo separati dai vecchi filari, solo da una striscia pronta per il reimpianto. “Mio padre ha messo queste viti l’anno in cui sono sono nato, ora io reimpianto per chi verrà dopo di me”. Scendiamo nella cantina di affinamento umida e profonda. Lì sostano le barrique che Pino usa dal 1967, primo o tra i primi in Italia. Sono botticelle di rovere non tostato, un contenitore per una lenta e naturale microssigenazione, usate per molti passaggi consecutivi. L’uva pigiata viene accompagnata lentamente nel suo divenire vino. Accompagnata in modo naturale, senza additivi, solo un poco di solforosa. Senza aggiungere, senza levare nulla, in modo da ottenere un vino figlio della terra, di questa terra, e dell’annata, simile ma diverso tutti gli anni. Sfumature, che l’orecchio del vecchio jazzista sa cogliere.
In questa cantina sono passati tanti grandi del vino, Gigi Veronelli per primo. Nel libro “Vignaioli Storici” Pino Ratto viene definito “uomo che sa sperimentare, rispettando la sacralità del vino”. La nostra visita prosegue con la cantina di vinificazione, posta a fianco dell’altro cru di Pino “le Olive“. Anche qui niente tecnologia, vasche in cemento vetrificato, una pompa e null’altro. Ma una sorpresa ci aspetta. Pochi litri di moscato passito ancora in macerazione a 7 mesi della vendemmia, ed altrettanti pochi litri di brachetto passito ancora sulle bucce. Assaggiamo. Nessuna ossidazione, nulla di buccioso in bocca. La vinificazione di questo Brachetto è ricetta antica di famiglia. Arriva dalla nonna materna di Pino, cantiniera a fine 800, nel vicino Castello di Lerma. Questi due vini sono autentiche chicche, peccato solo che non siano in vendita troppo esegua la quantità prodotta. Finisce qua la nostra visita, quest’angolo di basso Piemonte ci è rimasto dentro.
Sempre di più si rafforza una nostra convinzione: per fare grandi vini, ci vogliono grandi uomini