vini, persone, territori, tradizioni

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Vino naturale, l’unico vino possibile. Conversazione con Sandro Sangiorgi

  Sandro Sangiorgi, direttore della rivista Porthos Volevamo confrontarci con una persona che avesse uno sguardo diverso sul vino, un modo di accostarsi al vino un po’ fuori dalle righe, accurato, approfondito, tranquillo… Abbiamo chiamato Sandro Sangiorgi, direttore della rivista Porthos che dal 2000 é stata capace di concentrare l’attenzione su temi e vini importanti.

Come sei arrivato a conoscere e ad apprezzare i vini naturali?

Faccio una premessa: oggi ritengo che non esista altro vino al di fuori di quello naturale, veramente incompatibile con i prodotti convenzionali ottenuti con chimica di sintesi e agenti sistemici nel vigneto e biotecnologia in cantina. Premesso questo possiamo parlare di vini buoni e di vini meno buoni, di vini interessanti e meno interessanti. Ma il mio é stato un percorso lungo e ho dovuto fare molte esperienze prima di arrivare a questa conclusione. Il vino naturale c’é sempre stato, capita di incontrarlo quando non si sa che é un vino naturale, inaspettatamente, e bisogna essere pronti ad accoglierlo… Nel maggio 1979 da corsista Ais feci la mia prima visita in una cantina, si trattava dell’Azienda Gotto d’Oro di Marino, a quel tempo era una delle cantine italiane più moderne dal punto di vista tecnologico. Erano gli anni di un’esasperata esigenza di purezza formale, una condizione protrattasi fino ai nostri giorni e che, forse, finalmente stiamo superando; ci raccontavano che la tecnica era indispensabile per fare un vino buono. Un collega sommelier più anziano tenendo in mano un calice mi disse: ´Ecco, vedi che pulizia? Ti sei chiesto perché si chiamano Gotto d’Oro? Perché una volta il vino di questi posti aveva un colore dorato. Quando, un anno e mezzo dopo, conobbi il Marino Colle Picchioni di Paola di Mauro capii cosa intendeva e fu una rivelazione. Non si trattava solo di un bianco vinificato sulle bucce, ma racchiudeva la mineralità dei vini dei Castelli Romani, aveva un calore meraviglioso e una gradualità che cresceva nel bicchiere, ingredienti estranei ai prodotti ben confezionati che si stavano diffondendo. A quel tempo esisteva solo l’Ais, non c’erano altri riferimenti. Lavoravo nel ristorante di famiglia e da quel momento iniziai a cercare vini del territorio, non ero del tutto consapevole che la genuinità dovesse essere accompagnata da un’espressione interessante; inoltre ho cominciato a imparare più cose possibili sull’enologia, ma non credevo che alcuni interventi tecnici potessero cambiare il prodotto fino a quel punto! Solo più tardi, quando ho cominciato ad insegnare, mi sono chiesto se il modernismo a cui si tendeva fosse pericoloso per l’identità dei nostri prodotti. Ricordo con precisione che nella stagione 95-96 ammisi pubblicamente di aver fatto una valutazione sbagliata: avevo detto che gli anni 80-90 erano stati un periodo d’oro per il vino italiano. Invece non era stato così. Tentare di cancellare secoli di consuetudini, invece che affrontarle e adattarle alle nuove esigenze, stava portando alla perdita totale del senso storico e stava spogliando di contenuti i nostri prodotti. Facevo parte delle commissioni di degustazione per la guida di Slowfood Gambero Rosso e ho iniziato a proporre vini naturali e non convenzionali, inevitabile che le nostre strade si dividessero, apprezzavamo vini diversi. Nel 2000 é nato Porthos e mano a mano che ho acquistato consapevolezza ho iniziato ad avere più soddisfazione fisica e psicologica nei confronti del vino, e mi sono sentito anche più a posto con la mia coscienza.

Per te scegliere di proporre o di bere un vino naturale é più una questione di sapore o una questione etica ed ecologica?

Il vino naturale per me è il vino e basta. Non mi pongo il problema etico sul vino, l’etica è indispensabile nell’atto agricolo, nell’azione del contadino e in tutto ciò che ha un significato alimentare. L’etica è un ingrediente sottinteso, non discutibile. Un liquido nato solo per business non possiede etica, non è vino. Tra i naturali ci sono poi prodotti poco interessanti e altri degni di essere ricordati. Questi ultimi possiedono il valore dell’universalità: è grazie alla loro forte identità che superano i confini del proprio territorio. La globalità comporta l’uniformazione, l’universalità invece è il riconoscimento di una forte peculiarità; ovunque verrà ricordato un vino che si fa solo in quel luogo e solo da quelle persone. Nei vini convenzionali la dote di universalità sbiadisce se non sparisce del tutto. Come scrissi su Porthos, il produttore di vino dovrebbe essere un frate: non deve porsi un obiettivo commerciale, l’importante è il suo comportamento di custode della propria terra. Avere un pezzo terra da lavorare è un privilegio donato, è la cosa più alta che hai a disposizione e bisogna esserne consapevoli. Chi ama il proprio vino e non lo fa solo per ottenere un profitto, anche se ne produce un numero consistente di bottiglie, troverà il suo spazio commerciale; come dimostrano i vignaioli che, pur non girando come trottole per fiere tutto l’anno, non hanno problemi di vendita.

Allora perché bere vini naturali? Cosa diresti se dovessi spiegarlo in due parole a un appassionato che vi si sta avvicinando?

Partirei con una domanda: quanto amore si ha nei confronti del vino, quanto amore si vuole mettere a disposizione del vino e dell’universo alimentare? Quanto ci interessa quello che sarà la nostra memoria e il nostro spirito, il vino è nutrimento spirituale, culturale, erroneamente confuso con l’alimentare, poi ha anche effetti positivi sul corpo, ma non è il suo punto di partenza. Se è molto importante, per avere sensazioni, emozioni, memoria, benessere dobbiamo perseguire la ricerca dei cibi e dei vini naturali, dobbiamo perdere tempo e rinunciare ad altre cose per dedicarci a questa ricerca.

Su che informazioni ti basi per definire un vino naturale?

Prima di degustare un vino fatico a dire se sia o no naturale, mi affido alla dichiarazione del produttore. Dopo averlo assaggiato e bevuto, ho gli strumenti per valutarlo, per giudicare la sua spontaneità, per sapere se è un vino interessante o meno. Per capire che vino è bisogna stargli vicino, tenerlo aperto per tempo, sentirlo a più riprese e accostarlo al cibo. Appena nate, le prime guide avevano un senso: seguendo il solco tracciato da Luigi Veronelli si ponevano l’obiettivo di sentire e raccontare tutti i vini in bottiglia. Col tempo, il numero dei prodotti si è talmente ampliato da rendere impossibile lo stesso tipo di esercizio, per questo le guide sono in crisi, non sono state capaci di trasformarsi, di diventare davvero una palestra per il lettore; hanno voluto rimanere un sostituto di scelta, uno strumento per delega in bianco; ma il vino non si acquista così. La persona consumatore deve potersi costruire una propria consapevolezza, confrontandosi con scrittori e critici. A questi ultimi il dovere di rendersi conto che oggi è indispensabile affrontare il vino esigendo che sia naturale; fare una bottiglia convenzionale è talmente facile che tutti si misurano, anche uomini e donne lontanissimi dai valori del prodotto. La guida dovrebbe trasformarsi e scegliere esclusivamente vini naturali, se non si adegua resta un elenco telefonico, le descrizioni dei vini sono vuote e anche confrontando guide di editori e autori diversi si fatica a percepirne la differenza, anche perché volendo accontentare il mondo produttivo, tendono a gestirne il consenso, invece che diventare un’autorevole controparte. Il ricorrente uso del punteggio svuota di contenuto le descrizioni che sarebbero altrimenti un ottimo strumento per comprendere il vino assaggiato.

Cosa consiglieresti all’appassionato? A che canale potrebbe affidarsi per scoprire vini interessanti da bere?

La conoscenza del vino è un viaggio dentro se stessi, va fatto attraverso l’esperienza, non si deve pensare che il libro sia la risposta, il libro è il luogo in cui l’esperienza si sta muovendo. Bisogna coltivare il dubbio, innamorarsi anche di cose “sbagliate”, le sbandate sono indispensabili. Apprendere senza fretta con l’idea del consumo, quello nobile, imparare e arricchirsi attraverso la conoscenza di uomini e donne che lavorano la terra, scoprire posti dalla bellezza inusuale, scegliere il vino perché lo si ama e non solo per farsi belli con gli amici.

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Un sentito ringraziamento a Sandro Sangiorgi per aver messo a disposizione nostra e degli appassionati lettori di Sorgentedelvino.it la sua esperienza. Ci ritroveremo ancora per parlare di altri argomenti ed esprimere altre idee.

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