vini, persone, territori, tradizioni

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Fiorano, dalle Marche il vino biologico e pieno di gioia!

Fiorano Azienda Agricola (Marche – Ascoli Piceno)

fiorano-paolo-vigneto

Continuando il nostro viaggio tra i territori vitivinicoli d’Italia eccoci nelle Marche e precisamente a Cossignano, in provincia di Ascoli Piceno. 

Qui Paolo Beretta e la moglie Paola dal 2003 producono vino e olio nella propria azienda agricola biologica Fiorano. Sono arrivati da Milano ma già con un legame particolare con questa terra dove Paola affonda le proprie radici. Per conoscerli un po’ di più abbiamo chiesto a Paolo di raccontarci come sono arrivati qui:

Paolo Beretta: Ho visto questa terrà la prima volta 30 anni fa in un itinerario a piedi tra il Conero e Castelluccio di Norcia e ho trovato una situazione relazionale con le persone molto bella, piano piano ci siamo avvicinati, abbiamo iniziato a vivere questo podere e nel 2003 ci siamo ufficialmente trasferiti.
A Milano seguivo il mondo del vino, un mondo vissuto come piacere. Ero odontotecnico, ma era arrivato il momento di cambiare, perché stare chiuso in 4 mura mi stava diventando stretto, Paola era biologa e faceva la ricercatrice all’università di Milano. Com’è normale all’inizio ci sono state molte difficoltà e tanta fatica, ma se è una scelta e un modo di vita che hai dentro ce la fai e oggi siamo molto contenti della strada che abbiamo intrapreso.

paesaggio vitato nelle marche

Com’è la campagna nelle Marche? Abitata, agricola o turistica?
La campagna è ancora molto abitata, non c’è il borgo, ma ci sono tanti piccoli poderi e case coloniche diffuse e nonostante la crisi generale dell’agricoltura le vecchie leve tengono. Purtroppo ci sono pochi giovani.
La crisi ovviamente porta con sè comportamenti nuovi, come la vendita delle case agricole a persone che vengono qui a vivere ma non a lavorare. Produrre solo materia prima in agricoltura è un pianto, se non trasformi un prodotto (una cantina, un forno, un frantoio) è difficile, allora la campagna diventa terra di conquista, arrivano i filibustieri che propongono di coprire le colline di fotovoltaico e i contadini, già esausti, accettano. Purtroppo le leggi permettono queste cose.
E’ davvero complicato, ma per il momento la situazione regge, nelle Marche la collina è ancora la parte di territorio vincente: il mare coinvolge un turismo di massa ed è stato molto costruito, mentre l’interno ha un paesaggio molto dolce dove passi dalle montagne innevate al mare in soli 60 km.

Veniamo al tuo lavoro di vignaiolo: quando hai preso il podere c’erano già vigneti?
Per la metà c’erano, molto vecchi e supersfruttati: vigneti di oltre 40 anni con Montepulciano, Sangiovese, Trebbiano, un po’ di Passerina e grappoli strani che anche i contadini del luogo non conoscevano più. Come in altre zone d’Italia anche qui negli stessi filari o nella stessa zona piantavano più vitigni e anche questo a livello funzionale per lavorarci rendeva le cose complicate. Abbiamo cercato di gestirli per due/tre anni ma continuavamo a vedere che le piante morivano, allora abbiamo deciso di impiantare nuovi vigneti scegliendo un vitigno autoctono come il Pecorino che si stava riscoprendo in quel periodo e che a livello di degustazione mi sembrava interessante, nel giro di una decina d’anni abbiamo rinnovato la vecchia parte e aggiunto i nuovi vigneti.
Con il senno di poi avremmo potuto lavorare sulle marze, ma allora non ci pensavo proprio. Adesso che ho più spazio mentale e che sono più padrone di certi argomenti vedo cose che prima non vedevo.

paolo beretta degusta i vini nella propria cantina fiorano

Qual è il percorso che hai scelto per i tuoi vini?
In questi anni sto cercando di capire quali vini vogliamo fare e una strada l’ho un po’ trovata: provare a fare vini gioiosi, vini da bere. Il vino molto complesso, difficile e articolato per me è interessante e intrigante da scoprire, senti cose uniche che hanno dietro il territorio e una persona particolare. Ma io amo i vini comunicativi, immediati, quindi non voglio calcare le mani nelle estrazioni, nell’invecchiamento, a volte diventano difficili non voglio quindi calcare le mani, cerco di rispettare alcuni passaggi ma non esagero nella tecnologia, nelle macerazioni, nei legni. Forse dipende dalla mia conoscenza tecnica, ora stiamo cercando vinificazioni coi lieviti autoctoni ad esempio, stiamo studiando ancora tanto e crescendo, ma di una cosa siamo certi: vogliamo che le persone che bevono il nostro vino siano felici di berlo.
Non cerco cose particolari, faccio qualche prova, cerco di studiare e di capire meglio, ma voglio mantenere le caratteristiche dei vitigni e del territorio senza stravolgerli troppo.

La scelta di lavorare sui vitigni autoctoni ha motivazioni più tecniche, più di marketing o semplicemente di rispetto della storia e del territorio?
Penso che ci siano un po’ di tutte le motivazioni, probabilmente è vero che è una scelta che fa anche marketing, ma se negli anni e nei secoli questo vitigno nella zona si è radicato (vedi Pecorino o Montepulciano) ed è diventato una produzione sempre più presente a livello morfologico, climatico e di terreni, di latitudine etc vuol dire che il vitigno si è adattato bene ed esprime alti valori.
In questa zona delle Marche il Montepulciano trova la sua massima espressione, qui le cariche fenologiche e polifenoliche sono più marcate e questo ha forse a che fare con un terroir che esprime più vocazione.
Come facilità nella lavorazione, si, qui in zona c’è anche più conoscenza sui vitigni locali, i contadini qui dicono che il Montepulciano è un vitigno ignorante che ha maturazioni alterne, e tardive, si raccoglie a metà o fine ottobre, ma a un certo punto può avere buccia più delicata con rischio di attacco di muffe, quindi bisogna essere molto attenti a non perdere l’integrità del prodotto.
In cantina ha la tendenza ad andare in riduzione e quindi ha bisogno di essere arieggiato durante la lavorazione e quando si apre la bottiglia. Nonostante queste caratteristiche è il vitigno che si conosce di più e quindi si possono avere più confronti, se pianti un vitigno internazionale c’è meno conoscenza.

Qualche anno fa abbiamo partecipato al progetto di zonazione con Vinea e l’università di Milano e il Montepulciano è risultato un vitigno molto adatto al territorio. La viticoltura e il tempo fanno la loro parte, ma è un lavoro in cui devi prestare moltissima attenzione, guardare spesso la vigna e intervenire. Uno dei primi compiti del viticoltore è quello di osservare la sua vigna, guardare se c’è equilibrio o se ci sono cose che non quadrano. Ci sono momenti in cui percorro la vigna continuamente su e giù a piedi. L’annata fa la sua, ma in particolare con il biologico occorre ancora più attenzione, in certi momenti (partendo da maggio a giugno) quando tutto si sta formando ci sono davvero molti i rischi di attacchi di funghi, quindi devi essere super attento. L’agricoltura biologica io la vedo come un approccio più sensibile ma anche più intelligente, non tratti a caso, ma devi avere molta coscienza di quello che stai facendo. Ma per me quasi non c’è stata scelta, non era neanche in discussione di non fare biologico, adesso si può anche migliorare, cercare di equilibrare il sovescio in base all’annata, ma è stato assolutamente normale così per me.

Io parlo con i contadini della zona, mi piace parlare con loro della zona della storia del territorio. Ci sono anche parecchie aziende biologiche, magari non certificate ma che lo fanno spontaneamente. In una piccola realtà sta diventando sempre più importante dare un prodotto pulito e fatto bene, anche chi non è bio ha avuto una presa di coscienza, era facile vedere i cigli delle strade diserbate 15 anni fa, ora se lo vedi stona perché non è più diffuso. Un po’ per i costi dei prodotti chimici, un po’ per presa di coscienza.

Praticare l’agricoltura biologica è solo una questione tecnica?
Fare questa vita, fare il vino, dev’essere espressione di quello che un po’ sei: fare bio non è solo fare il buon vino bio, ma è anche una tipologia di vita, è un discorso a 360 gradi. Se fai il bio, fai il vino strafigo e poi in campo metti i rumeni di 12 anni a lavorare a 5€ al giorno farai anche un vino buonissimo, ma sei comunque un cretino.

Fare vino è un’espressione del tuo essere e devi cercare di farlo nel modo più naturale, anche fare prodotti straordinari come il vino e l’olio, legati alla storia della terra e alla cultura agricola, o lo fai cercando di rispettare quello che ti sta attorno o perde tantissimo il valore di quello che stai facendo.

Anche fare questa cosa dev’essere espressione di quello che tu sei. Non ho mai pensato di voler fare il vino da top delle guide. E’ un grande onore vedere che piace alle persone che lo assaggiano, un grande piacere. Sono orgoglioso di questo, di poter donare qualcosa di buono e piacevole, ma questo è il mezzo e l’espressione del tuo modo di essere, non è il fine. Non può essere solo il business costi e ricavi, puoi fare anche un bell’agriturismo, ma l’aria che poi si respira è diversa.

E del resto vorrei che non diventasse solo questa l’espressione della mia vita, è una parte importantissima ma deve esserci anche la cultura, i viaggi, trovarsi con le persone e non parlare solo di vino… un pezzo fondamentale di una vita ancora più ricca. Incontro presonaggi straordinari, viticoltori incredibili, ma è una parte della tua vita. Un lavoro impenativo e coinvolgente come questo il rischio di cadere in questo tunnel è alto.

In questo periodo econonomicamente complicato, come sta andando la vendita di vini come il tuo?
C’è sicuramente un rallentamento ma vedo che l’interesse verso realtà piccole come la nostra sta salendo. C’è anche più coscienza anche da parte delle persone che si stanno abituando ad andare a cercarsi il prodotto da comprare direttamente. Dieci anni fa era quasi improponibile, ora invece la filiera corta funziona molto di più e anche da parte di chi vende il vino di mestiere c’è più attenzione per quest’altra fetta di mercato, ma per noi piccoli è importantissimo rimanere indipendenti e non lasciarsi abbagliare da situazioni luccicanti ma esterne a noi. Dobbiamo essere noi direttamente a poterci gestire autonomamente senza metterci in mano a qualcuno che poi gioca come vuole.

Fotografie di Mauro Fermariello – Winestories

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