La cooperativa Valli Unite è stata creata nel 1977, ha quindi superato il trentesimo anno d’età. Parlare di Valli Unite non può limitarsi a parlare di vino, quanto di come esso viene fatto e di come le persone che lo fanno vivono la propria quotidianità. Abbiamo incontrato Ottavio Rube, uno dei quattro fondatori e la persona che in tutti questi anni ha seguito in particolare la produzione del vino, passando poi oggi il testimone al giovane Alessandro Poretti.
La scelta agricola di Valli Unite è stata da sempre quella dell’agricoltura biologica. Qui sui colli tortonesi, in provincia di Alessandria, oltre ai vigneti e alla cantina dove l’uva diventa vino, si trovano stalle per le mucche, maiali, ortaggi. Un agriturismo dove si può magiare, alcune stanze per chi vuole fermarsi a dormire. Ma la sostenibilità ambientale va anche oltre, abbiamo fatto una chiacchierata con Ottavio Rube per capire meglio la storia e il presente di questa bella realtà e abbiamo iniziato facendoci raccontare come è nato il progetto. Ottavio Rube: Già mio padre faceva il vino proprio qua dove c’è la cantina di vinificazione di Valli Unite. Questa è una delle quattro cantine di cui disponiamo, infatti il progetto Valli Unite è nato dall’unione delle aziende che noi quattro soci fondatori avevamo qui in zona. Tutti e quattro avevamo aziende agricole in cui già si faceva anche il vino, si tratta quindi della continuazione di una storia che già c’era. Mio padre aveva la fama di essere uno dei due migliori vinificatori del comune, allora la fama si fermava entro piccoli confini! Lui faceva già la cernita delle uve, cosa che non faceva ancora nessuno a quei tempi.
Cos’è cambiato da allora nel vostro modo di fare il vino e nel mondo del vino in generale? Sia in positivo che in negativo.
Positivo più consapevolezza di quello che si fa e dei prodotti che si usano in vigna e in cantina, allora c’era tanta ignoranza in campagna… c’era chi metteva il bisolfito senza sapere cosa faceva e quando cominciarono ad apparire sul mercato i primi prodotti sistemici erano azzurri come il verderame così il contadino aveva l’idea di continuare a usare il suo solito prodotto! Ho fatto vino anch’io il vino negli anni 60 e 70 quando a fare il vino con l’uva si passava quasi per scemi, adesso non sembra neanche vero… Un peggioramento c’è stato invece secondo me nella ricerca di una qualità esasperata a svantaggio del piacere del bere. Sono il primo, come tutti quelli che fanno il vino, a cercare la qualità ma la qualità non è la sola cosa che bisogna cercare spingendo i vini verso esasperazioni finalizzate ad ottenere buoni punteggi su una guida… Trent’anni fa attorno a 4 bottiglie di vino mediocre si cantava, si ballava, si faceva di tutto, persino all’amore perché con un bicchiere di vino diventava più facile anche dire quello che si aveva nel cuore! Oggi siamo diventati tutti molto più bravi nella ricerca della qualità ma abbiamo perso altre cose… Quando in cooperativa io ho iniziato ad occuparmi di vino sono stato molto contento perché lavorando sul vino si ha la possibilità di instaurare un rapporto privilegiato con il territorio: il vino ha il grande pregio di prefiggersi la ricerca della qualità assoluta quindi le vigne possono essere – tra le produzioni agricole – quelle con meno impatto, qualità e territorio vanno molto d’accordo, questo non vale per altri prodotti agricoli.
La coop. Valli Unite propone anche forme di economie alternative, puoi raccontarmi quali sono le caratteristiche e come queste incidono sulle vostre scelte quotidiane?
La forza di questa economia ha a che fare col passato: d’inverno mio padre era falegname, c’era un tipo di economia grazie a cui in campagna non mancava mai niente, la nostra forza è quella di farci la maggior parte possibile di cose da soli, all’interno della nostra cooperativa: dal bosco ricaviamo sia la legna da bruciare che il legno pregiato per fare la scala in casa, ci costa poco, costa lavoro, ma abbiamo oggetti di grande valore. Il fatto di vivere in comunità aiuta, ci sono meno spese. Un socio spende in mensa 2 euro al giorno per mangiare, L’autoproduzione ti consente poi di cibarti con cibo biologico, quindi prodotti scelti, biologici che fuori da qui non potremmo magari permetterci. Poi questo comporta delle scelte rinunciando ad alcuni consumi, ad esempio comprando un’auto nuova solo quando veramente necessario, ad esempio il nostro mezzo di trasporto per i mercatini… L’autoproduzione e l’autoconsumo aiutano molto diversametne da quello che si diceva negli anni Sessanta: allora si diceva che era meglio specializzarsi in un’unica produzione e comprare all’esterno tutte le altre cose di cui si aveva bisogno. Allora forse poteva anche essere così, ma oggi con la presenza delle multinazionali non lo è più.
Com’è il rapporto di Valli Unite con l’esterno?
Direi molto buono: vendiamo i nostri prodotti soprattutto con i mercatini e i gruppi d’acquisto, in queste occasioni il rapporto non è solo commerciale, ma anche umano. E il recupero del rapporto umano con le persone che comprano i prodotti del nostro lavoro vogliamo recuperarlo rinunciando ad esempio a partecipare ad alcune manifestazioni fieristiche che non ci vanno bene e utilizzando il denaro per creare momenti di incontro come è stata ad esempio la festa della vendemmia con il concerto guidato da Giovanna Marini.
Avete scritto nel documento che avete distribuito alla festa che avete intenzione di utilizzare parte del ricavato per progetti utili, ricerca, ecc, puoi raccontarmi qualcuno dei progetti a cui state pensando?
Sia a ripetere eventi culturali aperti gratuitamente alle persone a cui interessano finanziandoli con la ristorazione e la vendita del vino, sia a realizzare progetti utili per la comunità in cui vivamo. Ad esempio: nel nostro paese di 350 abitanti sono tornati ad esserci tanti bambini, ce ne sono 40 sotto i 12 anni, quindi stiamo da una parte cercando di far riaprire la scuola elementare, dall’altro di aprire un asilo per il paese e questo necessariamente con un nostro contributo economico. Queste sono solo alcune delle cose a cui stiamo lavorando.
Un’ultima domanda tornando a parlare di vino: puoi dirti soddisfatto del tuo lavoro con il vino in questi trent’anni? O ci sono cose che avresti voluto diverse o su cui ancora stai lavorando?
Ho avuto grandi soddisfazioni e qualche delusione. Oggi l’idea per me come per altri è di voler fare vini straordinari, senza l’uso di solfiti. Non ho mai usato lieviti selezionati fino al 1998 poi ho avuto problemi e da lì ho iniziato in alcuni casi ad utilizzarli. Il 1998 è stata una delle prime annate in cui ha fatto molto caldo e in cui l’uva ha cominciato a subire uno squilibrio: il buco nell’ozono ci ha fatto fare vini con gradazioni altissime. Nel mio caso questo sballa il ph dell’uva, porta gradazioni esagerate e ho capito con gli anni che in queste condizioni il vino si difende meno, quindi fare i vini senza solfiti è rischioso. Nelle annate eccessivamente calde dobbiamo correggere e intervenire sulla stabilità del vino, questo per noi significa semplicemente mettere i solfiti. Questo è dovuto al cambiamento climatico, non è positivo. Adesso siamo tornati a fare vini senza solfiti ma il mercato è molto selettivo e vuole vini molto stabili quindi il nostro lavoro è davvero difficile. Anche il dover utilizzare i lieviti selezionati per noi è molto negativo non solo in rapporto al vino che si ottiene, ma anche alla mia idea di poter produrre in modo autosufficiente e indipendente. Queste le delusioni e le cose su cui ancora stiamo lavorando.