vini, persone, territori, tradizioni

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Il disastro culturale nell’Abruzzo colpito dalla grande nevicata

bimbo con gallina

Nei giorni scorsi l’ennesima terribile notizia ci ha colpiti: quella dei vigneti caracollati sotto il peso della neve in Abruzzo. Sono ormai ricorrenti le notizie di disastri naturali in diversi luoghi d’Italia: allagamenti, smottamenti, frane, ora neve. In questi ultimi anni si sono moltiplicati per ragioni che altri meglio di me sapranno raccontare e indagare.

All’indomani del disastro Fabio Rizzari dell’Espresso telefona a Fausto Albanesi vignaiolo abruzzese nell’azienda Torre dei Beati. Lui racconta l’accaduto in una lettera indirizzata a Rizzari e pubblicata sul blog dell’Espresso (qui per vedere l’originale): gli interventi nei vigneti fatti di corsa nel tentativo (in alcuni casi riuscito) di salvarli, lo scenario collinare dopo il crollo. Ma soprattutto racconta il possibile domani che ci aspetta: gli estirpi di vecchi vigneti, l’abbandono dei piccoli appezzamenti casalinghi, l’allontanamento dell’agricoltura dalla vita quotidiana dei nostri figli e il concentramento delle proprietà in aziende sempre più grandi.

Abbiamo l’impressione di un disastro culturale oltre che naturale, quello stesso disastro che altri territori vivono in modo anestetizzato vendita dopo vendita, abbandono dopo abbandono e proprio perché si possa leggere anche da questo punto di vista riprendiamo qui questa lettera sapendo che chi legge Sorgentedelvino.it ha spesso uno sguardo attento capace di coglierne i possibili stimoli.

“Caro Fabio,

ti ringrazio molto dell’interessamento per quanto è successo qui qualche giorno fa. Non avrei mai voluto parlare di una cosa come questa, ma purtroppo è accaduta ed è bene che se ne abbia nel mondo del vino la giusta consapevolezza.

La cronaca, penso ormai nota a molti: a causa di una forte nevicata avvenuta in due fasi, prima la notte di lunedì 26 novembre, e successivamente il pomeriggio e la notte di martedì 27, una buona parte dei vigneti abruzzesi piantati a pergola è caduta giù. Particolarmente colpite le colline pescaresi e diverse zone del chietino. Notevoli danni anche agli uliveti.

“Le vigne cadono a novembre” ammoniscono i vecchi , e questa frase mi ripete sempre mia moglie, che l’ha imparata da suo padre, quando a inizio novembre, poco dopo la fine della vendemmia, inizia a fare le “strade”, cioè a far potare la vigna a fasce parallele più o meno distanziate, per alleggerire il carico in caso di eventuali nevicate.

Inutile dire come gli agronomi delle varie aziende non accettino, o sopportino borbottando, questa pratica di tagliare tralci con su ancora foglie in grado di accumulare sostanze per l’anno successivo. Ma lei non ne vuole sapere, e a metà novembre la vigna si presenta già con le strade fatte.

Io so che lei in queste cose è molto pratica, ed evito di schierarmi.

Quest’anno ha avuto ragione lei.

Un’annata particolare, ma lo si dice sempre di ognuna, in cui le temperature elevate fino a due settimane fa hanno trattenuto le foglie sui tralci, mantenendo quella cortina orizzontale che caratterizza la pergola abruzzese, capace, in caso di nevicate, insieme al reticolo di fili deputati a sorreggere i tralci e ai tralci stessi, di creare un piano di appoggio per la neve, che lì si accumula, creando un peso a volte non sopportabile dall’impianto di sostegno.

E questo è quello che, tecnicamente, è purtroppo avvenuto.

Ci si aggiungano anche le intensissime piogge della prima decina di novembre (che hanno fra l’altro causato molti allagamenti qui in Abruzzo, che sono pure cronaca) le quali hanno reso meno compatti i terreni e quindi meno forti i punti di ancoraggio ai bordi del vigneto, ed ecco che si spiega il collasso di molte pergole.

Dopo la prima nevicata, abbiamo trascorso la mattinata di martedì, io e Adriana, a camminare sotto quei due ettari di pergola ancora rimasti senza “strade”, per fare cadere a mano la neve. Pratica che sempre i vecchi raccontano pericolosissima, perché, dicono, se la vigna decide di cadere a terra mentre sei lì, i fili tesissimi ti possono tagliare la testa o schiacciare. Ma bisogna sempre sperare che si tratti di superstizioni, e comunque siamo pure tornati a casa ridotti come dei ghiaccioli, ma l’alleggerimento che eravamo riusciti a realizzare ha salvato quei due ettari, che probabilmente sotto la neve caduta il pomeriggio e la notte successivi avrebbero ceduto (gran parte dei danni è infatti avvenuta per il sommarsi della seconda nevicata alla prima).

L’ondata di freddo e neve era stata prevista, ma non ci si aspetta mai proporzioni ed effetti così catastrofici, e comunque, per aziende di grande estensione non è semplice in poco tempo effettuare quelle drastiche potature di alleggerimento (peraltro, come ti dicevo, agronomicamente dannose), visto che la potatura delle pergole può essere effettuata solo a mano. E in molti casi anche questa prepotatura non è bastata.

Gli appezzamenti più piccoli, invece, sono coltivati da persone spesso anziane, o dai loro figli che sono impegnati nei giorni feriali in altri lavori, e i cui tempi in vigna sono spesso legati ai calendari di fabbrica o di ufficio, e che vedono nella viticoltura una integrazione del reddito e, molte volte, purtroppo, data la scarsezza di questo, solo un dovere verso le tradizioni della famiglia e del territorio.

Ho fatto un giro nel pescarese giovedì mattina, e ho visto estensioni enormi completamente a terra. Forse, per l’immediatezza di visione, due sono le situazioni che più mi hanno colpito.

L’immagine di una quercia GI-GAN-TE-SCA vicina al mio vigneto di Pecorino completamente mutilata di tutte le sue branche e ridotta al solo enorme fusto. Forse non tutti sanno quale impressionante fiotto di linfa esca da una pianta di quelle dimensioni quando viene tagliata o si spezza!

E quella di un bellissimo vigneto piantato su un altopiano in dolce declivio a Catignano. Ce lo hai tutto di fronte a te, non interrotto o nascosto da colline, e vedi a perdita d’occhio i 36 ettari di pergola, di quarant’anni, tutti completamente schiacciati a terra. Se pensi quanti “piccoli principi” sono stati per tanti anni con il loro sudore a prendersi cura di tutte quelle loro “rose” ti si stringe veramente il cuore, e ti chiedo scusa per la retorica, che spesso non si può contenere davanti a queste emozioni forti.

E, senza ignorare come questo disastro abbia colpito in modo indifferenziato il lavoro sempre ugualmente nobile di tanti viticoltori, e come nessuno possa essere considerato speciale in situazioni così, va comunque ricordato come fra i vigneti più seriamente danneggiati ci siano quelli di diverse aziende che da anni lavorano con grandissima serietà per portare nel mondo prodotti in linea con le potenzialità del nostro territorio regionale, con bottiglie che in alcuni casi riescono quasi a distaccarsi da logiche puramente commerciali per sconfinare nell’ambito ristrettissimo dei vini da leggenda nel mondo, ed è quest’ultimo il caso specifico dell’amico Francesco Paolo (Valentini, nota di Fabio Rizzari sulla pubblicazione sull’Espresso), che, solo, cito, e con grande affetto, perché la storia della sua azienda lo pone al di là di ogni possibile confronto.

Vedendo tutto questo viene da domandarsi, e non per fare i soliti piagnoni, quale sia il confine fra il “grave danno all’agricoltura” e la “catastrofe naturale”. Sicuramente la definizione esatta sarà presente in qualche legge dello Stato.

Dalle le notizie che ho, gli organi competenti si sono immediatamente mobilitati per un censimento generale dei vigneti colpiti.

Nella speranza che il loro lavoro dia a brevissimo qualche frutto e qualche indicazione certa, che cosa fa ora il viticoltore.

Dopo il colpo bisognerà rimettersi al lavoro, partendo dal censimento puntuale dei danni vigna per vigna, assai faticoso in mezzo a certe estensioni dove il piano della pergola, fatto di un intrico di tralci, tronchi, fili metallici e pali spezzati, si trova ormai vicino a terra.

La mia speranza è che, persa buona parte dell’impianto, si riesca almeno a raddrizzare una parte delle piante, che potrebbero magari essersi solo piegate, e non spezzate o sradicate. Qualcuno dice che il costo di una simile operazione sarebbe altissimo se confrontato con il suo esito, ma bisognerà provare.

Se non arriveranno fondi straordinari, molti approfitteranno dei contributi per il reimpianto dei vigneti per ripartire da zero, e spero che nelle graduatorie prossime ci sia un occhio di riguardo vero per queste situazioni.

Sicuramente molti, dopo la brutta esperienza, sceglieranno di abbandonare la pergola per ripiantare a controspalliera, con un evidente mutamento di volto del territorio regionale, fino a pochi giorni fa di una bellezza così struggente nel suo manto autunnale. (Tralascio l’annosa e qui tanto più inutile polemica fra sostenitori e detrattori delle pergola).

E comunque si avrà un forte abbassamento dell’età media dei vigneti, con evidenti ripercussioni sulla qualità.

Infine, molti proprietari di piccoli appezzamenti, uno, due, tre ettari di vigna, quelli che io chiamo con tristezza i giardinieri “aggratis” del Turismo Italiano, e cioè gli anziani o i loro figli di cui dicevo sopra, già messi a dura prova dai bassi introiti derivanti dall’attività viticola, decideranno di togliere del tutto il vigneto, se non lo hanno già fatto dopo i contributi all’espianto degli ultimi anni, facendo morire una tradizione così antica e così radicata nel nostro tessuto sociale ed economico.

Si vedranno così anche scomparire molti dei torchietti per uso domestico utilizzati da generazioni nelle piccole cantine familiari, e i nipotini verranno portati dalla scuola in visita, con i loro bei grembiulini puliti, a qualche fattoria vinicola didattica per scoprire senza sporcarsi una cosa che non gli apparterrà più, portandosi a casa un brik ricordo, dopo che i diritti di impianto si saranno concentrati nelle mani di aziende più grandi (per la gioia di chi promuove la deframmentazione del vigneto italiano come unica possibilità di sopravvivenza per la nostra viticoltura, al di là dell’aspetto “secondario” della creazione di grandi centri di potere).

Un cambiamento abbastanza radicale insomma. Forse, quasi quasi, una “piccola” catastrofe naturale.

Lo sapevo che avrei fatto tardi, che mi sarei dilungato oltre misura e che sarei andato fuori tema, ti chiedo scusa, ma l’argomento è quello che è…

Ti ringrazio comunque moltissimo per l’attenzione.

A presto

Fausto”

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