vini, persone, territori, tradizioni

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Il vino naturale tra etica, scienza e tecnologia

le scienze antiche

Non so come è tornato a girare nella rete un vecchio articolo (datato 21 aprile 2010) intitolato “Vino naturale, ci vuole scienza e etica“. Incuriosita comincio la lettura, d’accordo che ci vuole etica (ci vorrebbe in generale nella vita, ma questo è un altro discorso) ma la scienza? Ci vuole o non ci vuole?

La prima parte dell’articolo mi lascia positivamente sorpresa:

“La produzione del vino naturale non consente l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica sia nel vigneto che in cantina. Un approccio diverso nella conduzione del vigneto e nella trasformazione dell’uva in vino che azzera le tecniche tradizionali, agronomiche ed enologiche oggi universalmente diffuse e che a parere di alcuni portano alla standardizzazione del prodotto ed un appiattimento organolettico che modifica l’impronta del vitigno, del territorio e la personalità di chi lo produce.
Il vino naturale è prima di tutto una questione di etica che parte dalla volontà di vedere il sistema vigneto come un ecosistema che convive con l’uomo, con il territorio, con le donne e i bambini e con l’ambiente.”

 Poi l’articolo svolta facendo affermazioni che, da quel che ho capito in questi anni, non hanno nulla a che vedere con il vino naturale.

  • la biodinamica è una scienza

ed essa sarebbe sostenuta da nuove positive proposte quali

  • la viticoltura di precisione
  • la ricerca di varietà resistenti fatta da università e istituti di ricerca

Nell’ottica di una produzione viticola indirizzata alla produzione di grandi quantità di uva o alla gestione di superfici vitate di grande estensione la viticoltura di precisione consente un notevole risparmio economico sui trattamenti (fitosanitari e concimi) impiegati e un impatto ecologico più sostenibile mantenendo i vitigni tipici del territorio o quelli internazionali che conosciamo.

Dagli anni Settanta ad oggi, soprattutto in Germania e nelle zone di influenza, si è fatta ricerca creando viti interspecifiche, ottenute cioè dall’incrocio di vitigni diversi, che resistono ai principali agenti parassitari, come l’oidio e la peronospora, per cui possono essere coltivate senza alcun trattamento. Un esempio è il Solaris, impiantato sperimentalmente in Trentino e di cui oggi stanno uscendo bottiglie interessanti anche dal punto di vista organolettico. Ma cosa facciamo? Estirpiamo tutto il patrimonio viticolo italiano? Nebbiolo, Sangiovese, Barbera, Aglianico e chi più ne ha più ne metta…

In Francia sono stati autorizzati, e osteggiati dalla popolazione e dai vignaioli come nel caso di Colmar, esperimenti in campo di viti OGM, qualcuno sostiene che anche in Italia si dovrebbe percorrere questa strada vedendo nella ricerca genetica e negli Organismi Geneticamente Modificati la soluzione all’utilizzo degli agrofarmaci per la difesa dei vigneti.

Due di queste strade (la viticoltura di precisione e la ricerca su incroci di vitigni resistenti alle malattie) sono più che rispettabili e potrebbero portare effetti positivi sui grandi impianti, ma ciascuno percorra la propria strada con rispetto degli altri smettendo di usare le parole biologico, biodinamico o naturale per indicare processi che con la vita delle piante e dell’ambiente non hanno nulla a che vedere.

La biodinamica non è una scienza

E veniamo al punto più interessante: l’autore di questo articolo definisce scienza la biodinamica. La biodinamica non è né una scienza né una religione, è una pratica agricola, un metodo di lavoro. L’approccio è radicalmente diverso da quello scientifico e ricorda molto di più il pragmatismo dei contadini dell’epoca pre-chimica, quelli di due generazioni fa, per intenderci quelli che oggi sono i nonni o i bisnonni di molti vignaioli e agricoltori. Lo andavo dicendo da tempo, lo chiedevo ai vignaioli con cui parlavo. Poi l’anno scorso ho sentito parlare Alex Podolinski durante il suo ciclo di conferenze in Italia ed ecco che anche lui invita gli agricoltori ad andare a conoscere gli agricoltori anziani, andarli a intervistare, interrogarli sulle loro pratiche, imparare da loro. La conoscenza collettiva delle pratiche agricole tradizionale è andata perdendosi, occorre invece creare “una memoria condivisa delle esperienze agricole degli anziani”.

Perché? Lo lasciamo dire a lui:

Oggi la scienza nei settori primari è tutta un’ipotesi e non è più scienza.Questa è una parte importante del mio lavoro: stabilire una conoscenza reale. Procedo sempre per punti osservabili, cose che posso far vedere alle persone. Alleno gli agricoltori a pensare realmente in modo vivente e soprattutto ad osservare e poi li lascio soli.
Gli agricoltori devono essere totalmente indipendenti nel prendere le proprie decisioni e questo è ciò di cui li fornisco. Ho il più alto rispetto di tutti, convenzionali o altro, tutti quelli che oggi sono ancora nelle aziende agricole, perché questa è la sola possibilità per salvare la Terra e risviluppare una Terra in modo biodinamico per il futuro.

L’approccio di Alex Podolinski alla biodinamica è più contadino e pragmatico dell’approccio antroposofico steineriano anche se i principi di partenza rimangono gli stessi. La biodinamica nasce con Rudolf Steiner (1861-1925), si comincia a parlare di biodinamica in occasione del Corso di Agricoltura che si è svolto nel 1924 nella tenuta di Koberwitz, a est di Bratislava: “Il corso fu organizzato per iniziativa degli agricoltori che iniziavano a porsi domande e a nutrire preoccupazioni, ritenendo che l’agricoltura non fosse meramente una tecnica di produzione che richiede un crescente numero di input chimici.” (cit. Demeter.it) Si era appena usciti dalla 1a Guerra Mondiale e l’agricoltura stava cambiando, l’uso della chimica impoveriva i campi, li rendeva meno fertili, e le produzioni calavano. Fu il bisogno di trovare un metodo che consentisse di produrre più cibo preservando la fertilità del suolo a stimolare la ricerca e la creazione del metodo biodinamico.

Amo e apprezzo la scienza, come tutti sono cresciuta all’interno del pensiero scientifico e all’interno di questo paradigma tendiamo, culturalmente e filosoficamente, a non dare valore all’esperienza se non viene avallata dagli strumenti scientifici e da prove che stanno al di fuori di quanto noi possiamo esperire. A questo proposito consiglio la lettura di un bellissimo libro del filosofo Giorgio Agamben “Infanzia e storia” che cercando di rispondere alla domanda se “l’uomo moderno è ancora capace di esperienza o la distruzione dell’esperienza è da considerare un fatto ormai compiuto?” ripercorre le tappe della nascita del pensiero scientifico da Descartes ad oggi. Ma la biodinamica si situa fuori dal paradigma scientifico, non ha bisogno di una prova scientifica della sua validità. Chi vorrà avvicinarsi lo farà chi vorrà usare altri metodi agricoli lo farà, ma sono strade che rispondono a principi e modi diversi.

 


Fonti e approfondimenti

La viticoltura di precisione dal sito Agriprecisione.it

Articolo sul Corriere della Sera: La vite che resiste a tutto e i nuovi vini «super bio»

Giorgio Agamben, “Infanzia e storia”, ed. Einaudi

Alex Podolinski in un’intervista di Max Allen su Biodynamic Growing

 

 

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