vini, persone, territori, tradizioni

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No al biologico, si all’agricoltura naturale!

Piemontese di nascita e piacentino d’adozione, il professor Roberto Miravalle è agronomo e tutore del Master di Viticoltura e enologia preso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano. Una lunga esperienza nei vigneti naturali, ma anche con imprese vitivinicole meno artigianali fanno di lui un interlocutore ideale per parlare di uva coltivata con metodi biologici.

Malvasia stesa ad appassire al sole

Iniziamo subito con una domanda pratica: quali sono secondo lei le difficoltà (o le differenze) che comporta lavorare un vigneto in agricoltura biologica rispetto all’agricoltura convenzionale o alla lotta integrata?

Io sono assolutamente contrario all’agricoltura biologica soprattutto in vigneto: così com’è interpretato oggi il sistema del biologico sta in piedi solo grazie ai finanziamenti pubblici. Gli agricoltori che decidono di lavorare in regime di agricoltura biologica ricevono circa 900,00 € per ettaro a titolo di indennizzo per le maggiori difficoltà incontrate nella lavorazione e molti scelgono questa strada per ricevere finanziamenti.

Il disciplinare che oggi regola la coltivazione biologica dell’uva da un lato contiene troppi cavilli legali che impediscono un’azione realmente naturale in vigneto, dall’altro consente l’impiego delle migliori macchine e della più avanzata tecnologia genetica presenti sul mercato e non regolamenta aspetti fondamentali. Ad esempio obbliga ad usare il rame che è un metallo pesante tossico e non obbliga all’inerbimento del vigneto…

Chi sceglie l’agricoltura biologica non deve seguire un protocollo, ma avere un atteggiamento globale verso la terra e la coltivazione del vigneto, devi essere sempre presente e seguire un aggiornamento costante: non puoi usare gli antagonisti naturali per combattere le malattie del vigneto se non ti tieni informato costantemente!

Il biologico è un’etichetta, l’agricoltura naturale è invece quella che ha un rapporto con il clima, con la pianta, con le persone. L’agricoltura naturale è meno soggetta a norme e non mi scandalizzerei se vedessi andare a vangare il vigneto con un cavallo da tiro belga… Entrando in un’azienda agricola biologica vorrei trovarmi in un orto giardino, ma va fatto seriamente con una reale attenzione all’ambiente che tenga in considerazione ad esempio il risparmio energetico, la protezione del suolo (occorrono oltre 400 anni per formare un terreno adatto all’agricoltura!) e delle acque. E in questo senso i 900,00 € di contributo per ettaro dati a un agricoltore che si occupa seriamente di questi aspetti dovrebbero essere non un indennizzo, ma una sorta di compenso per l’importante lavoro di salvaguardia del territorio che svolge.

Parliamo quindi di agricoltura naturale e non di agricoltura biologica. Ha accennato a reali difficoltà nella conduzione di un’azienda vitivinicola biologica, quali sono?
Prendiamo la Val di Cornia come confine ideale, Firenze e dall’altra parte le Marche ne sono il proseguimento. Bene, dalla Val di Cornia in giù non è difficile condurre un vigneto con metodi naturali, ma nel nord Italia abbiamo tre grossi problemi che vanno trattati: peronospera, oidio e flavescenza dorata. Sono tre malattie che devono per forza essere combattute e combatterle con i principi ammessi dall’agricoltura biologica è possibile solo con una grandissima attenzione da parte del produttore che deve trattare la propria vigna come un figlio. Per questo sconsiglio caldamente un’azienda vitivinicola commerciale dal certificarsi biologica, si va incontro a difficoltà reali e non c’è un reale ritorno in termini di salvaguardia dell’ambiente: il rame è un metallo tossico pesante e lo zolfo può arrecare danni in quanto è fotosensibile… occorre accuratezza anche nell’impiego di questi prodotti…

Quando si parla di agricoltura naturale occorre sempre considerare anche la situazione contingente e quello che si trova attorno alla vigna, nonostante il vigneto sia una oggi una monocoltura non si deve perdere di vista quello che c’è attorno e questo è un motivo in più per rispettare il terreno e l’ambiente.

Ma il vigneto non è sempre stato una monocoltura…
In passato in Piemonte c’era la cultura dell’alteno. Metodo di coltivazione della vite oggi in disuso in cui i filari erano distanziati circa 2,50 / 3 metri per permettere tra un filare e l’altro la coltivazione di ortaggi, frumento, patate o mais da polenta che allora era una pianta molto bassa. Inoltre spesso al capo del filare stavano alberi da frutta, solitamente peschi perché hanno una chioma più aperta e non fanno ombra sul vigneto.
Già in passato c’erano molti agricoltori critici nei confronti di questa forma di coltivazione introdotta da Cavour e il tempo ha dato loro ragione: questa forma di coltivazione è in contrasto con la qualità che oggi si cerca nell’uva da vino perché gli ortaggi richiedono concimazione e la vigna no.
Questa forma potrebbe ancora essere praticata al centro-sud Italia dove puoi fare colture invernali che non entrano quindi in sovrapposizione con il vigneto.

Abbiamo parlato molto di coltivazione del vigneto, vogliamo parlare del vino biologico nel momento della sua trasformazione in cantina?
La normativa oggi vigente sul vino prodotto usando uve biologiche non ha limiti, mentre in cantina le cose cambiano, i limiti sono rigidi. Una qualsiasi cantina vitivinicola che persegua la qualità utilizzerà meno solforosa possibile nei propri vini perché è un additivo che nella sensorialità del vino si avverte già quando è a un terzo del limite consentito dalla legge. Ma nella produzione di vino biologico (parliamo qui di produzione in cantina) la solforosa è del tutto vietata. Certo si può lavorare prevenendo l’ossidazione, ma è difficile e ancora una volta questo è più agevole al centro-sud dove piove poco e i vini sono molto alcolici. L’alto grado alcolico mette in grado un vino di difendersi da solo dall’ossidazione.
L’ossidazione è anche in relazione al tempo di partenza della fermentazione e se usi rame in vigna fino alla fine rischi di uccidere tutti i lieviti indigeni dell’uva (i cosiddetti lieviti di campagna) e di avere quindi fermentazioni che partono con estrema lentezza. Avere una cantina non perfettamente pulita in questo caso aiuta…

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Ringraziamo il prof. Miravalle per la sua disponibilità e per aver instillato qualche dubbio su questo spinoso argomento. Torneremo a parlare con lui di vino e di vigna…

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