Chi arriva da sud lo capisce già al suo ingresso in valle, guardando i vigneti “strappati” alla montagna e messi a dimora su pendenze da capogiro: da queste parti la viticoltura è una sfida alle avversità – quelle conseguenti a un’orografia ostile, che rappresenta il tipico teatro da viticoltura eroica – ma anche un profondo atto d’amore verso la propria terra e la propria cultura. La frammentazione delle proprietà, nella loro stragrande maggioranza inferiori all’ettaro, e le caratteristiche disagevoli della coltivazione continuano a condizionare i risultati ottenuti dalla viticoltura locale, come confermano i numeri: in questa regione si produce lo 0,1% del vino italiano (47mila quintali di uva, un milione di bottiglie circa) e gli ettari coltivati a vite sono appena 522, oltre 300 dei quali caratterizzati da difficoltà strutturali quali pendenze superiori al 30% ed elevata altitudine degli impianti: con queste premesse si potrebbe pensare a produzioni di qualità non eccelsa, ad una scarsa varietà di vitigni, all’assenza di una tradizione solida. Invece il quadro è ben diverso.
L’attività vitivinicola della regione si sviluppa lungo il fondovalle che da Donnas si arrampica in meno di 90 chilometri fino ai milleduecento metri di Morgex, borgo posto alle pendici del Monte Bianco. Si tratta di un “solco” che taglia in due la regione, caratterizzato da scarse precipitazioni, ventilazione costante ed escursioni termiche significative tra il giorno e la notte, con tutto ciò che questo significa in termini di maturazione rapida delle uve e sviluppo degli aromatici varietali. I terreni coltivati a vite sono morenici (l’intera regione era un gigantesco ghiacciaio), sabbiosi e sciolti e sorgono tutti sul versante della valle esposto a sud. Le ridotte dimensioni delle proprietà hanno l’effetto di determinare alte rese per ettaro; la fittezza media degli impianti si aggira in genere tra i 6.500 e gli 8mila ceppi/ha. Qui i vigneti – che ricoprono tra l’altro un’importante funzione di tutela dal pericolo di frane e smottamenti del terreno – sono impiantati su terrazzamenti sostenuti da muretti a secco, tanto diffusi da caratterizzare il paesaggio in maniera inconfondibile.
L’intera produzione regionale, riunita dal 1985 nell’unica Doc Vallée d’Aoste, è suddivisa in sette sottodenominazioni di area caratterizzate da una schiera di vitigni, sia autoctoni che alloctoni, sorprendente per varietà, specie se rapportata alle dimensioni del territorio. Da sud verso nord troviamo le sottozone Donnas, Arnad-Montjovet (ambedue caratterizzate dalla presenza del nebbiolo, qui chiamato picotèner), Chambave, Nus (dove i vitigni più rappresentativi sono gli autoctoni petit rouge, vien de Nus e Fumin insieme al muscat blanc), Torrette, Enfer d’Arvier (ancora petit rouge, altri ceppi autoctoni come mayolet, cornalin e petite arvine, più vitigni internazionali come chardonnay, pinot e muller thurgau) e Blanc de Morgex et de La Salle, territorio legato esclusivamente al prié blanc. Il primo vino ad ottenere la Doc è stato nel 1971 il Donnas, un assemblaggio di nebbiolo (85%), freisa e neyret: un vino che sfoggia i colori e il corredo aromatico tipici del nebbiolo “di montagna”, con la sua purezza, le note di sottobosco e quella mineralità nervosa dovuta alla composizione dei terreni e che rimane impressa in tutti i vini della valle come un marchio di fabbrica.
Percorrendo da Donnas poche decine di chilometri in direzione nord si giunge nella media valle, da dove comincia il regno del petit rouge; si tratta del vitigno più diffuso della regione, che è la base per vini come Nus Rouge, Torrette ed Enfer d’Arvier. Questa parte della Valle è inoltre caratterizzata da quella “convivenza” tra vitigni autoctoni e internazionali tanto importante nella storia vinicola della regione: ad aprire la strada alla riscoperta di quelle uve tipiche che stavano per scivolare nell’oblio è stato infatti paradossalmente il successo riscontrato da alcuni vini a base syrah, chardonnay o muller thurgau, che hanno avuto il merito di attirare l’attenzione di critica e pubblico sulla realtà vitivinicola della valle. Molto significative a riguardo le esperienze legate a nomi come Costantino Charrère, Ezio Voyat, Di Barrò, oltre all’instancabile opera di ricerca dell’Institut Agricol Regional e di un piccolo vigneron da seguire con estrema attenzione, Giulio Moriondo. Anche il mondo cooperativo – attualmente caratterizzato da grande fermento e da sinergie commerciali – ha i suoi meriti: realtà come Crotta di Vegneron, Cave de l’Enfer, Cave du Vin blanc de Morgex et de La Salle si stanno imponendo nello sforzo di valorizzare il territorio senza tentare di somigliare a nessuno se non a loro stessi. Del resto è difficile somigliare a qualcuno quando si producono vini a milleduecento metri d’altezza come a Morgex. Qui è protagonista assoluto il prié blanc, l’unica vite in grado di completare il proprio ciclo vegetativo a quote così elevate. Si tratta di una pianta a fioritura tardiva e a maturazione anticipata, con un ciclo vegetativo brevissimo, grazie al quale non è attaccabile da parassiti come la filossera e può dunque essere allevata a piede franco. A conferire ulteriore fascino alla viticoltura locale è il fatto che – come ricordava Mario Soldati che decise di terminare qui alla ricerca del leggendario Vin Blanc de Morgex il primo viaggio di Vino al vino nell’autunno del 1968 – le vigne assorbono nel corso della notte il calore accumulato dalla roccia durante il giorno e di conseguenza l’uva matura soprattutto dopo il tramonto del sole. Nonostante le dimensioni ridotte, la realtà vitivinicola della Valle d’Aosta è complessa, di sicuro interesse e in costante evoluzione: i produttori hanno imparato – non senza sforzo – a guardare oltre le montagne, adesso stanno cercando di fare in modo che gli altri rivolgano il loro sguardo e il loro interesse in direzione della Vallée. Articolo scritto da Marco Arturi

Il Nerello di Nunzio
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