Abbiamo incontrato Gianmaria Vercesi, che conduce insieme al fratello Marco l’azienda agricola Vercesi del Castellazzo, storica tenuta agricola e vitivinicola dell’Oltrepò Pavese. Nel suo racconto della terra in cui vive e produce vino emergono le tante sfaccettature di un territorio sospeso tra grandi vini e scelte enologiche poco illuminate…
La sede storica dell’azienda agricola Vercesi del Castellazzo va scovata girando per le strade e le stradine di Montù Beccaria, un cucuzzolo sui colli dell’Oltrepo’ Pavese. Il cancello è sempre aperto e apre su un bel cortile con vista panoramica sulla valle sottostante, un paesaggio mozzafiato sui vigneti. Si notano a colpo d’occhio le differenze tra una vigna e l’altra: vigne inerbite, vigne fresate, vigne fitte e vigne larghe…
Vorrei iniziare chiedendoti di raccontare la storia di Vercesi del Castellazzo…
La mia famiglia è proprietaria di questi terreni già dal Seicento. Per molti secoli qui si è prodotta uva ma senza vinificare. Questo fino al 1961 quando mio padre ha intrapreso la strada della vinificazione, non è stata una scelta dettata da motivazioni ideali o da una spinta emotiva, semplicemente i prezzi delle uve erano troppo bassi e così ha pensato di fare il vino. E’ partito con il Fatila, il bonarda fermo che ancora oggi produciamo e il Pezzalunga (Rosso Oltrepo’) anche questo ancora in produzione che prende il nome della collina da cui provengono le uve, la collina di Pezzalunga che oltretutto è citata in un inventario dei Padri Barnabiti come luogo in cui veniva messo vigneto intensivamente. La mia famiglia ha infatti acquistato anche il castello dai Padri Barnabiti (che l’avevano trasformato in convento) nel 1808.
Oggi siamo abituati a pensare ai vini dell’Oltrepo’ Pavese come a vini mossi o frizzanti, ma quando mio padre iniziò a fare il vino le bonarde di Agnes e Buscaglia erano famose ed erano ferme, quindi per noi è stato naturale vinificare la croatina ferma dandole un discreto tempo di invecchiamento in botte. La svolta del vino frizzante è avvenuta negli anni Settanta ed è stata contingente, non è una tradizione antica, in quegli anni molte aziende agricole hanno iniziato a vinificare in casa i propri vini vendendoli subito a primavera. Il vino non finiva la fermentazione prima dell’inverno (gli inverni erano inverni allora, c’era freddo e le cantine non erano coibentate) e rifermentava in bottiglia in primavera che lo si volesse o no… poi questa cosa è piaciuta ed è diventata un must per il mercato. Quando sei entrato tu a dirigere l’azienda agricola? Nel 1984 sono entrato a piedi uniti in azienda, inizialmente lavoravo nella mia cantina da solo poi è iniziata la consulenza con Aldo Venco e per la prima volta abbiamo vinificato un’uva Vespolina giovane ottenendo il nostro Vespolino. Nel giro di 2/3 anni siamo arrivati a una decina di etichette. Era molto divertente studiare e sperimentare, cercare i vini, creare… I primi anni vinificavo ogni vigneto separatamente per conoscere l’interazione di vitigno, terreno, esposizione, clima, pendenza, etc. Al di là dell’analisi, con l’osservazione delle piante nelle annate estreme abbiamo imparato a conoscere in modo profondo ogni piccolo pezzo di terra e di vigna. Hai il vigneto e sai come si comporta, quindi scegli quando raccogliere in ogni pezzo e come trattare le piante anche in annate normali, non estreme.
Domanda di rito: se non avessi le vigne in Oltrepo’ dove ti piacerebbe lavorare? In quale territorio e con quale vitigno?
Ovunque! No, scherzo, ma lavorare in Oltrepo’ è spesso difficile perché nonostante sia un territorio estremamente vocato per la vitivinicoltura, è forse uno dei meno conosciuti per i vini. Tutti i territori sono tutti più famosi dell’Oltrepo’ e se dovessi scegliere un altro territorio ne sceglierei sicuramente uno più conosciuto dove a parità di sforzo i risultati si vedono più. Mi piacerebbe andare in Francia o in un’altra zona famosissima per curiosità, per il fascino della zona o in zone abbastanza estreme tipo la Val d’Aosta: se la viticoltura valdostana è emersa ed è diventata quello che è oggi è stato anche grazie ai capitali che ci sono dietro e che hanno permesso aggregazioni e crescita. Non andrei invece a fare il vino in una delle zone classiche d’Italia tipo Barolo dove già sono stati raggiunti risultati altissimi, dove sembra che non ci sia più nulla da scoprire… Oppure seguirei il richiamo della foresta che per me è il Pinot nero… andrei in Oregon oppure rimanendo qui comprerei quelle zone che sono per natura adattissime per la produzione di pinot nero, ma che oggi sono campi… Qui in Oltrepo’ si potrebbero fare tutti i vini e farli bene ci sono terreni e climi molto vari quindi adatti a vitigni diversificati. E’ un’ottima terra, quindi l’unico problema è come è gestito il territorio, cioè nella maggior parte dei casi con la mentalità del tutto subito.
I due vitigni principali dei vini dell’Oltrepo’ Pavese sono Pinot nero e Croatina, puoi parlarmene?
In genere si parla di Croatina come vitigno autoctono dell’Oltrepo’ e di Pinot nero come di vitigno internazionale. In realtà nessuno dei due è originario dell’Oltrepo’ ma sono entrambi presenti nelle nostre vigne da tantissimo tempo. Già Veronelli negli anni Sessanta parla del Pinot nero in Oltrepo’ pavese come di un vitigno già ampiamente presente da tempo. Quindi secondo me ha senso lavorare su entrambi questi vitigni trattandoli con pari dignità. Anche i vini che ne vengono sono di grande spessore e versatilità: siamo abituati a bere la bonarda vivace come vino da uve croatina, ma lavorata come vino fermo la croatina è molto interessante! Potrebbe dare un vino tipo amarone ma a prezzo inferiore. Un giorno Elio Altare ha assaggiato questo vino, mi ha subito telefonato dicendomi: “se questa è la croatina non sapete cosa avete in mano…” Ha solo il problema dei tannini aggressivi, ne ha tanti e con i nostri climi ha bisogno di tempo per completare la maturazione polifenolica, è un po’ come il pinot nero in Borgogna dove i polifenoli hanno tempo per maturare grazie al clima fresco. Purtroppo qui da noi per aspettare la maturazione polifenolica della bonarda sale il grado zuccherino. E’ un vino da grande invecchiamento. quando facciamo le verticali apriamo il 1996, bisogna lasciarlo arieggiare, ma non ha assolutamente problemi… noi non filtriamo quindi ha solo bisogno di tempo… Qualche anno fa abbiamo aperto una bottiglia di Pezzalunga dei primi anni Sessanta conservata in un posto pessimo, bottiglia in piedi con tappetto del 4 siamo rimasti tutti stupefatti: una cosa da brivido, un vino perfetto, di colore rosso Ferrari, equilibrato, era incredibile! Mi è capito di assaggiare bottiglie di contadini illuminati, vini di 30/40 anni che erano ancora in condizioni perfette! C’è quinidi una grande potenzialità tutta da sviluppare… Per il Pinot nero è tutto un’altro discorso. Con una brillantissima decisione e con lo slogan “un mondo di pinot nero” il Consorzio vini dell’Oltrepo’ Pavese sta promuovendo uno spumante DOCG e il Pinot nero come vino rosso. Adesso ci sono maggiori stimoli. Resta comunque un grande vitigno da vinificare rosso, ho presentato il pinot nero del 1998 in occasione del bicentenario della nostra azienda agricola: il colore è fortemente mattonato, ma al gusto va bene. Quindi anch questo se lavorato bene può rappresentare un vitigno importante per il nostro territorio.
Che rapporto c’è con la ristorazione locale? I vini del territorio vengono serviti e promossi?
La ristorazione pavese sa che in Oltrepo’ ci sono quelle 5/6 aziende e non va oltre… ci sono locali, soprattutto wine bar a Pavia, che non vogliono l’Oltrepo’ invece ci sono vini che sarebbero adatti. A parte alcuni ristoratori, mi vengono in mente di primo acchito il Prato Gaio e la Trattoria da Guido a Casteggio, in genere qui in zona non si trova un’ampia scelta di vini locali. Non voglio generalizzare perché non pranzo spesso fuori quando sono vicino a casa, ma tendenzialmente l’Oltrepo’ è visto come territorio da spender poco, il territorio è legato a questo tipo di vino, un vino allegro di cui non ricordi il produttore, ma non è solo così!