Si parla molto oggi di preservazione della biodiversità, ma non sempre se ne parla con la consapevolezza di cosa questo significa. Forse gli appassionati di vino sono più sensibili di altri perché molti conoscono il valore di un vino nato da una vecchia vigna, la particolarità dei vini che sa dare e le emozioni che sanno suscitare. Abbiamo parlato di questo con Antonio de Gruttola di Cantina Giardino, una piccola realtà campana che da anni sta lavorando proprio sulle vecchie vigne del proprio territorio con un progetto assolutamente particolare.
Antonio di Gruttola: All’inizio degli anni 80 ho cominciato a notare sempre più estirpi di vecchie vigne e la spiegazione tipica del viticoltore era legata alle difficoltà di gestione e soprattutto al fatto che era riuscito ad ottenere i finanziamenti dalla Comunità Europea. Molti vigneti storici sono quindi stati sostituiti da quelli moderni cambiando in maniera drastica un paesaggio che mi piaceva molto e che oggi posso rivedere solo in alcuni punti rimasti intoccati. La spalliera ha sostituito la vecchia raggiera avellinese e secondo molti è arrivata un’uva migliore perché proveniente da cloni rappresentativi di quell’area. Io la penso in maniera totalmente opposta e la differenza da una pianta all’altra mi affascina, se ci pensate fa abbastanza rabbrividere l’idea di trovarsi di fronte individui provenienti da pochi cloni seppur questi siano i più rappresentativi ed efficienti rispetto alla massa! In Irpinia e in generale in Campania sono rimasti molti vigneti piantanti prima della 2a Guerra Mondiale, la filossera è arrivata nel 1920 e le vigne più vecchie hanno in media 80 anni , poi ci sono tutte quelle eccezioni che hanno permesso alle piante di non essere attaccate dalla fillossera e si arriva ad esemplari che superano abbondantemente i 200 anni. Uno dei motivi che ha permesso la conservazione è legato all’emigrazione, nelle campagne sono rimaste le donne e gli anziani e dovendo vivere di quel che si produceva la vigna rappresentava una ricchezza inestimabile. Negli anni ’80 con l’avvento dell’agricoltura moderna gli investimenti non sono più stati fatti da contadini, ma da imprenditori che provenivano da altri settori, sono loro che hanno fatto l’agricoltura e che negli anni 90 avevano l’idea che i vini dovessero essere muscolosi e dopati.
Sorgentedelvino.it: Com’è nato il progetto di Cantina Giardino?
Antonio di Gruttola: Abbiamo sempre fatto il vino per noi usando uve provienti da vigne storiche, anno dopo anno l’aumento degli espianti ci ha spinti a diventare ufficiali. Facevamo altri lavori, ma la passione per il vino e l’amore per il nostro territorio ci ha spinti a trovare un modo concreto per salvaguardare le vecchie vigne, così nel 2003 abbiamo deciso di creare una piccola azienda e di fare il vino con l’uva coltivata dalle persone che vivono di viticoltura, dal 2003 i nostri conferitori principali sono sempre gli stessi, il loro lavoro è fare l’uva e noi la trasformiamo. Questo ci ha permesso di scegliere le piante più vecchie di greco, di fiano, di coda di volpe bianca e rossa e aglianico. Negli anni la cantina ha cominciato a dare i risultati in cui speravamo ed oggi è un punto di riferimento per chi come noi crede nell vigne vecchie, mia moglie Daniela è presidente di un’associazione che si chiama VI.TE – Viticoltori del Tempo, un’associazione nata nel 2011 per iniziativa dell’Osservatorio dell’Appennino Meridionale d’intesa con la Regione Campania che raggruppa un gruppo di viticoltori e vitivinicoltori che producono uve o vini da vigne storiche (oltre i 50 anni di età), al momento gli iscritti sono Campani essendo un’iniziativa di quest’area ma c’è un’apertura anche alle altre regioni. Quando siamo partiti erano in molti a non credere nel nostro progetto, trovo sia interessante che oggi anche la parte sana delle istituzioni si sia mossa in tal senso.
Sorgentedelvino.it: Che tipo di ricerca servirebbe fare secondo voi?
Antonio di Gruttola: Bisogna fare dei campi sperimentali, ricerche genetiche e valutare il potenziale viticolo di questa piante attraverso la vinificazione, dopo di che bisogna incentivare gli impianti di queste varietà autoctone, in modo che non vi sia ulteriore perdita del patrimonio genetico e che si riporti sul territorio la tipicità storica. Tutto questo è qualcosa che non possiamo fare noi da soli, bisogna che la parte istituzionale dell’agricoltura aiuti economicamente un discorso di questo tipo e che si impegni a farlo arrivare fino in fondo. Il fatto che Cantina Giardino si preoccupi di far reimpiantare utilizzando le marze delle vecchie vigne è un primo passo per salvaguardare delle varietà ma non è sufficiente. Io e mia moglie abbiamo acquistato da qualche anno una vigna stimata 1920 (nella foto sottostante) all’interno ci sono piante che non sono state studiate ampelograficamente e stiamo cercando di raccogliere tutto il materiale necessario, questo vigneto rappresenta il nostro campo sperimentale ed è proprio come lo volevamo, in passato su altri vigneti non di nostra proprietà siamo riusciti ad interagire con gli enti locali e abbiamo dato il nostro piccolo contributo per l’iscrizione a catalogo di alcune varietà, si trattava di cloni di aglianico che erano stati scartati dai vivaisti, ora potranno essere reimpiantati.
Sorgentedelvino.it: Cosa pensi delle regole sui cloni che oggi abbiamo in tutte le zone vitivinicole?
Antonio di Gruttola: Questo regolamento è nato dopo la filossera per impedire di impiantare varietà non tipiche della zona. Storicamente è stato molto importante e il principio è tuttora esatto, ad esempio in provincia di Avellino non si possono impiantare vitigni internazionali, ma ogni regione dovrebbe avere un ente di ricerca che valorizzi il territorio e iscriva a catalogo le varietà che mano a mano vengono ritrovate. Se questo non viene fatto queste varietà semplicemente si perdono. Quando c’è un connubio tra enti di ricerca e territorio allora i risultati si ottengono ma per la concretizzazione la diffusione deve essere fatta dal “pubblico” e non dal privato.
Sorgentedelvino.it: Ci sono persone che ancora oggi spingono per sostituire gli impianti quando le piante raggiungono i 20 anni, non ti sembra un controsenso dato che sappiamo che è proprio a 20 anni che una pianta di vite comincia a produrre uva con caratteristiche diverse?
Antonio di Gruttola: Nelle zone in cui si produce moltissimo per ettaro non c’è nulla di strano a dire che dopo 20 anni bisogna estirpare le vigne. Fino ai 20 anni c’è il massimo di produzione, un ettaro può produrre anche 200 quintali d’uva, dopo i 20 anni la produzione scende e chi vuole produrre quantità perde il guadagno. Chi invece fa un discorso di qualità deve puntare sui vigneti vecchi che sono stati fatti ancora con la selezione massale delle marze e che quindi raccolgono più individui diversi in un’unico vigneto. I vigneti degli anni Ottanta sono monoclonali, oggi vengono fatti multiclonali, ma difficilmente un nuovo vigneto viene fatto con la selezione massale… Inoltre le piante vecchie hanno radici profonde che captano meglio i microelementi e danno maggiore complessità ai vini. La pianta vecchia ha una produzione minore ma più costante perché subisce meno l’andamento climatico. Su un vino non convenzionale in cui si vogliono fare emergere il vigneto e il territorio la pianta vecchia da sicuramente risultati più originali. Il vino può essere meno buono secondo le regole della degustazione contemporanea ma più caratteristico.
Sorgentedelvino.it: Secondo te influisce anche la scelta di luoghi in cui sono stati impiantanti questi vecchi vigneti?
Antonio di Gruttola: Un vigneto a raggiera avellinese di Cantina GiardinoAntonio de Gruttola: La funzione del contadino in passato era strettameante legata all’osservazione e si agiva di conseguenza, con l’agricoltura moderna la scelta del luogo dove mettere i vigneti è legata a discorsi economici, sono famose le aziende che cambiano l’orientamento delle colline per avere un’esposizione più interessante. L’agricoltura di fattoria dove si tenevano gli animali, il vigneto, i campi, dove non c’era monocultura è finita da molto tempo. Il contadino guardava le marze, sceglieva le migliori e quando piantava metteva ogni coltura sul terreno più adatto, per la vite o per il grano, erano questi i suoi strumenti per garantirsi una produzione abbondante e di qualità. Si osservava e si faceva tesoro dell’esperienza: se chi era venuto prima aveva evitato di mettere la vite in un determinato posto e ci aveva messo un’altra coltura non si metteva in dubbio questa scelta. In Borgogna si comportano diversamente alcuni produttori ci hanno messo 50 anni per rinnovare un vigneto sostituendo le piante a poco a poco. Oggi questi vini sono talmente d’elite che solo in pochi possono avvicinarli e conoscerli, la maggior parte delle persone conosce un vino che non è naturale e che viene considerato a pari della coca cola o a qualunque altra bevanda industriale. Noi lavoriamo nel rispetto della natura ma vogliamo al tempo stesso riportare il vino a un concetto di quotidianità, fare in modo che tutti, ogni giorno possano mettere un vino vero e buono sulla tavola.
Sorgentedelvino.it: il vostro lavoro sul territorio ha anche un riflesso etico e sociale…
Antonio di Gruttola: Si, questo per noi è stato sin dall’inizio molto importante. Ad esempio una nostra conferitrice di uve ha 84 anni e con la sola pensione non ce la farebbe, un nostro storico conferitore, purtroppo scomparso da pochissimo, faceva il lavoro che più amava con maggiore tranquillità da quando lavorava con noi. A noi interessa anche poter fare qualcosa per chi vive sul territorio, fare in modo che la viticoltura possa continuare ad essere un sostentamento economico, perché queste persone che hanno sapientemente conservato le vigne storiche hanno salvato un patrimonio per l’umanità, hanno dato il loro contributo positivo al futuro.