Verso il vino nel bicchiere: è una lente granata di inusitata bellezza.
L’ampia unghia è quasi trasparente, con dei leggeri riflessi aranciati. Leggerezza. Parola che trova pieno compimento di significato dentro questo calice. Forse, piuttosto che chiedermi cosa questo vino è, mi dovrei chiedere quello che non è. Il profumo non è un afrore generico di note vinose e alcoliche, all’interno delle quali devo faticosamente cercare di estrarre qualche descrittore; non devo sforzarmi per finire il racconto, è già tutto riassunto in una mirabile sintesi di sensazioni. Un aroma definito come un bassorilievo, dove alle note chiare di testa si contrappone la mineralità che ampia rimbalza da un lato all’altro della cassa armonica. In mezzo al bicchiere, ogni tanto, una zaffata di eucalipto mi prende tutto, e chiudo gli occhi. Devo fermarmi, pensare, riflettere. Riflettere. Perché questo vino mi affascina così tanto?
Prendo di nuovo il bicchiere, lo porto vicino a me. Ecco di nuovo il lampone e il melograno, subito, netti. Poi, di qua e di là, un vento i cenere di camino avvolge il mazzo di erbe al centro. Infine, in fondo, ecco la struggente nota di pietra bagnata. Non posso resistere alla curiosità, devo assaggiarlo. Il sorso parte pulito, quasi esile a centro bocca, ma ecco il tannino setoso; ecco il frutto rosso vibrante e teso che riesce ad avvolgermi e foderarmi tutto il fondo del palato. Ecco l’allungo degno dei grandi campioni. In bocca sembra quasi voler imitare lo spettacolo sensoriale del naso, ma non ci riesce; peccato per alcune leggere sbavature. Nel complesso, un vino d’altri tempi, davvero; adatto persino ad accompagnare una zuppa di pesce.