E’ passato del tempo – quasi vent’anni – da quel pomeriggio in cui Gianluigi Bera si vide arrivare in azienda, senza appuntamento, un gruppo di francesi in gita. Erano stufi di visitare cantine industriali e avevano chiesto dove fosse possibile trovare un vignaiolo artigianale. Qualcuno aveva fatto il suo nome. Quel giorno cambiarono le sorti dell’azienda Vittorio Bera e figli, perché quel gruppo di gitanti era composto da Marcelle Lapierre e alcuni altri vignerons di riferimento del Beaujolais e perché da quell’incontro – e dalle profonde amicizie che ne sarebbero nate – Gianluigi e sua sorella Alessandra acquisirono coscienza della vocazione naturale che li contraddistingue. Oggi la cantina dei fratelli Bera rappresenta un punto di riferimento primario per chiunque sia intenzionato a scoprire la Canelli del vino al di là degli schemi consolidati e omologanti. La scelta di un rapporto di un certo tipo con la terra e con l’uva sembra del resto inevitabile, quando si hanno alle spalle diverse generazioni di vignaioli (la famiglia ha cominciato a produrre vino alla metà del ‘700) che da quella terra hanno tratto sostentamento, ma anche una ragione e un modo di essere. I Bera sono piemontesi veri: austeri, schivi, orgogliosi ma anche appassionati e operosi. Legati in maniera viscerale alla loro terra, hanno messo a dimora nei dodici ettari di proprietà Arneis, Favorita, Vermentino, Barbera, Dolcetto e, naturalmente, Moscato. Piemonte al 100%, perfino nel caso del vermentino, uva che da queste parti ha trovato casa da tempo, essendo un clone differente della Favorita.
Il Moscato d’Asti dei Fratelli Bera e il territorio di Canelli
Il Moscato, vitigno simbolo della zona, ha nei Bera degli interpreti che si adoperano per tenerlo lontano dalla versione tecnologica, standardizzata e anche un po’ dozzinale che imperversa sul mercato. Per riuscirci fanno ricorso a una filosofia nei limiti del possibile poco invasiva e volgono lo sguardo al passato, ricordando come la tradizione prevedesse una vendemmia delle uve tardiva e continuando a seguirla. Ne viene fuori un vino anomalo rispetto al resto della categoria, più strutturato e meno accomodante, giocato fino in fondo su caratteristiche acide e sapide; un Moscato davvero old style, che privilegia – grazie alla raccolta ritardata delle uve e a una macerazione lunga – gli aromi fruttati rispetto a quelli floreali che caratterizzano le produzioni massive ma che si rivelano regolarmente più evanescenti. In cantina gli interventi sono limitati all’interruzione della fermentazione attraverso il ricorso alle basse temperature e a una microfiltrazione. Gianluigi Bera va molto orgoglioso di questa filosofia, ma soprattutto del territorio del quale questo vino è espressione: Canelli significa vigneti caratterizzati da pendenze ed esposizioni ideali, ma soprattutto una conformazione morfologica caratterizzata da marne plastiche spiccatamente calcaree, che regalano a tutti vini un corredo minerale notevole. Ne forniscono una dimostrazione inequivocabile l’Arcese, un bianco (assemblaggio di cortese, arneis, favorita e fermentino) notevole in quanto a personalità e freschezza, una Barbera di impostazione classica, imponente ma di buona bevibilità, che non concede nulla alle versioni modaiole e un dolcetto del Monferrato caratterizzato da un’acidità a dir poco sorprendente.
Questione di carattere…
Si tratta di prodotti davvero figli della storia e del territorio, caratterizzati dall’imprinting di chi poco si interessa alle mode, alle prestazioni da pi-erre e alle richieste del marketing; eppure i fratelli Bera trovano ottimi riscontri sui mercati esteri, a partire da quello francese, il che è tutto dire. Le ragioni di questo? Parlando con Gianluigi una persona potrebbe farsi un’idea a riguardo, notando come questo ragazzo dai modi riservati e garbati si trasformi quando ha modo di raccontare la sua passione, il suo lavoro, le sue esperienze. Un carattere che i Bera riescono a trasferire integro al loro vino, il cui impatto iniziale spesso cupo e ritroso lascia regolarmente spazio a una pulizia e a un’espressività di grande livello; come se non bastasse, quelli di questa cantina sono vini nei quali la piacevolezza (qualcuno direbbe: fruibilità) non paga dazio a scelte produttive anche radicali. Certo, a volte questi vini – come del resto tutti quelli concepiti per esprimersi al di là del momento – avrebbero bisogno di trascorrere più tempo in vetro, ma anche qui come altrove sono i problemi di spazio e quelli di ammortamento dei costi a determinare certe scelte. Ma tant’è, se vi capita di dimenticare una Barbera o un Dolcetto di Bera in cantina potreste ritrovare una piacevole sorpresa; altrimenti recatevi lassù, in quell’angolo di vecchio Piemonte per scoprire attraverso le parole di Gianluigi e Alessandra e i loro vini una terra che di passione ne ha molta, da regalare.
Articolo a cura di Marco Arturi