Ci si chiede come mai la Valpolicella, zona così antica e vocata, di grande produzione vinicola, abbia pochi sostenitori della viticoltura biodinamica e dei metodi naturali; per i pochi “naturalisti” la motivazione sta forse nella redditività facile di una doc come quella dell’Amarone. In effetti queste sensazioni sono confortate da dati: nel 2009, per esempio, le poche aziende che seguono metodi eco-compatibili e bio hanno perso dal 30 al 40% della produzione. La scommessa è troppo rischiosa per i più, in una zona che fa registrare aumenti di produzione e guadagni a breve termine a dispetto delle cifre che riguardano altre aree vinicole italiane, in costante flessione.
Qualche dato, a riprova di ciò, paragonando i dati del 2009 a quelli che segnano l’inizio dell’espansione commerciale della Valpolicella.
Valpolicella Doc | Valpolicella classica | Amarone e Recioto | Totale ettari | Totale ettolitri | |
1972 | 204.000 | 252.000 | 19.772 | 4.626 | 328.000 |
2009 | 300.000 | 215.000 | 219.000 | 6.363 | 448.000 |
In questo contesto cerchiamo di conoscere meglio la Valpolicella attraverso gli occhi di due aziende vitivinicole che piuttosto che affidarsi agli investitori preferiscono affidarsi alla natura e trovano nel rapporto di equilibrio con essa la risposta alle proprie convinzioni: “il vero investimento è nel futuro nei nostri figli ”.
Monte dall’Ora, Castelrotto nel cuore della Valpolicella Classica
Ci troviamo nel cuore della Valpolicella Classica a Castelrotto, zona di ritrovamenti fossili e di coltura viticola che risale all’epoca di civiltà etrusca.
E’ una terra di calcari a grana arenitica che garantiscono drenaggio dell’acqua e l’azione ottimale delle radici. Qui troviamo le marogne, tipici muri a secco di origine seicentesca costituiti da due muri giustapposti: il primo, esterno, formato da sassi più grossi che poggiano sulla roccia, il secondo è interno ed è formato da piccoli sassi che contengono la spinta del terreno. Le marogne non sono mai state eliminate: svolgono l’utile funzione di trattenere minerali e nutrimenti essenziali alle radici.
Qui, in un appezzamento dove le vigne abbandonate facevano parte della natura selvaggia, Alessandra e Carlo hanno posto le basi della loro azienda “Monte dall’Ora”, con la convinzione che “biodiversità è conoscenza e tradizione”. Sentirsi in sintonia con la natura circostante e rispettare un luogo incontaminato è stato subito l’obiettivo, e per questa ragione hanno, fin dall’inizio, trattato le vigne con prodotti naturali senza concimi, diserbanti nè pesticidi. In cantina, solo lieviti indigeni.
Da poco tempo hanno mosso passi verso i principi della biodinamica: “la conoscenza e il rispetto dei cicli naturali – dicono – ci aiuta a trovare l’equilibrio che ci garantisce uno stato di benessere con il nostro microcosmo, che è quello terreno-vigna-uomo-vino“.
Nelle vigne di Monte dall’Ora, l’applicazione dei metodi biodinamici si traduce in un equilibrio dove l’apparato fogliare è proporzionato a quello radicale; la conseguenza è la produzione di uva, anch’essa equilibrata in quantità e qualità.
E’ così che nasce il Valpolicella Classico Superiore, oltre ad una gamma che offre tra gli altri il Recioto Sant’Ulderico, l’Amarone, e altri prodotti della terra che possono essere apprezzati da chiunque si rechi in azienda.
Tra le uve di Monte dall’Ora la Corvina predomina, ma è anche quella che necessita di cure maggiori: fotosensibile, con la buccia sottile e fragile, trova la forma ideale di coltivazione nella pergola veronese che offre riparo e aerazione. Le altre uve dell’azienda sono le tradizionali Corvinone, Rondinella, Molinara e Oseleta.
Villa Bellini di Cecilia Trucchi, vent’anni di agricoltura biologica
A breve distanza, sempre nel Comune di Castelrotto troviamo Villa Bellini. Cecilia Trucchi, con Taso e Uva Passa, segue metodi biologici da circa vent’anni e da due ha deciso di intraprendere la strada del biodinamico: anima dell’azienda, pensa che ogni bravo agricoltore conosce la propria terra e capisce come intervenire interpretando al meglio le conoscenze scientifiche, tecniche e della tradizione che lo aiutano a sviluppare un rapporto di rispetto reciproco con essa.
L’architetto paesaggista, che negli anni Ottanta acquistò la proprietà risalente al 1400, preferisce avere la libertà di scegliere ciò che ritiene giusto per sé e per l’ambiente che costituisce il suo mondo, con l’unico obiettivo di fare vino buono senza chimica, sia in vigna che cantina: al bando, dunque, le catene fatte di regole produttive, enti di controllo o disciplinari.
Anche lei, come Alessandra e Carlo, preferisce accettare la perdita di tanta uva in annate difficili, ma vivere secondo le proprie idee piuttosto che cedere alle lusinghe dell’euro facile.
Da parte nostra non possiamo che essere grati a questi produttori: le loro idee sono un conforto e trasmettono verità e passione, esattamente come i loro vini.
Qualche dato geografico e Geologico della Valpolicella
L’area della Valpolicella si estende a nord ovest di Verona, è compresa tra l’Adige a ovest e la Lessinia a nord su una superficie di circa 250 Km quadrati che corrispondono a una fascia lunga 45 e larga da 5 a 8 km; i vigneti si trovano su una superficie territoriale che raggruppa 19 Comuni.
La storia geologica della Valpolicella si divide in due periodi. Il primo corrisponde alla sommersione delle terre da parte del mare; risale a 130 milioni di anni fa e motiva l’abbondanza di detriti calcarei e fossili.
Il periodo successivo (che comincia 65 milioni di anni fa) è quello dell’emersione delle terre dal mare; è caratterizzato da depositi calcareo-marnosi e calcari compatti, anch’essi ricchi di fossili marini, che abbracciano la zona della valle e alta valle di Negrar.
Fu in questo periodo, durato da 20 a 25 milioni di anni, nel quale si delinearono i tratti del territorio della Valpolicella attuale. I vulcani, con la loro attività, regalarono ai terreni i depositi tufacei e lavici e formarono l’attuale profilo alpino; successivamente, le glaciazioni dell’era quaternaria modellarono il territorio grazie ai detriti trasportati a valle, formando le colline e i rilievi morenici attuali.
In definitiva, ogni vallata offre situazioni leggermente diverse e tutte si caratterizzano per buona concentrazione calcarea ed costante presenza di sassi sotto il primo mezzo metro di terra.
Un passaggio nella storia del vino in Valpolicella
E le origini del vino? Come tutto il “vigneto Italia”, la Valpolicella vinicola ha origini remote: tanto remote da risalire a 50 milioni di anni fa, come si è accertato per i fossili di foglie di vite rinvenuti nel 19°secolo, oltre ai più “giovani” vinaccioli risalenti alle palafitte neolitiche del Lago di Garda.
La coltivazione della vite diventa pratica quotidiana già tra il VII e V secolo a.C. con la civiltà etrusca, ma è grazie ai romani che il vino locale conosce diffusione e gloria: Marziale lo loda negli epigrammi, Virgilio lo considera secondo solo al Falerno.
Solo nel 1177 troviamo in un decreto di Federico Barbarossa il nome “Val Polesela” che secondo alcuni deriverebbe dal latino Vallis-poli-cellae (valle dalla numerose cantine), mentre altri lo attribuirebbero a “Valle di Pol” (Pol, Santa Lucia di Pescantina). Ancora oggi gli studiosi si mostrano scettici nei confronti delle numerose interpretazioni, e il quesito resta senza risposta condivisa.
Nel 1200 circa, ben novanta località erano citate per la coltivazione della vite, tanto che gli stessi produttori stabilirono regole scritte riguardo al commercio delle uve, vino e momento della vendemmia.
La storia del vigneto Valpolicella cominciò da qui a seguire percorsi differenti, identificandosi nelle usanze delle le piccole comunità che caratterizzavano il territorio: grazie all’attaccamento per la terra e le tradizioni, è possibile risalire alla storia secolare di molte aree vitate.
I tre vitigni tradizionali della Valpolicella hanno origini recenti: la Corvina Veronese è citata per la prima volta nel 1820 come “Zervei de Gatto” biotipo dell’attuale clone. Nello stesso periodo sono citate le altre due uve della tradizione; la Molinara deve la sua etimologia al mulino, per indicare la pruina dell’acino così abbondante da far pensare alla farina. La Rondinella è l’ultima, citata per la prima volta verso la fine del secolo XIX, e prende il nome dal colore della coda di rondine, scuro e brillante.
Una volta si piantavano tanti vitigni; si trovano ancora vecchie vigne di Negrara, Rossignola, Oseleta e Dindarella, ma anche Sangiovese, Barbera e Marzemino, piantati per dare più colore e struttura. La grande varietà con caratteristiche di maturazione e resistenza diverse, davano garanzie di un sicuro raccolto anche in annate meno buone.
A Cura di Valentina Congiu