Decido di arrivare per la strada tortuosa, per godermi l’autunno delle vigne di Langa.
Piano piano le foglie appena ingiallite del nebbiolo lasciano spazio al rosso, intenso quasi violento del dolcetto.
Ci siamo, il profilo delle colline si fa più duro, gli affluenti del Tanaro hanno lascito segni profondi.
Accosto, scendo guardo e annuso. Impianti fitti, viti vecchie, buon inizio. Vigneti intervallati da macchie boscose, terra bianca spesso inerbita. Bene.
Via di corsa al luogo di ritrovo del Dogliani 2.0.
Aperitivo, presentazione e saluti.
Primo round: Dolcetto e Dogliani incontrano gli altri vini a cena. Il tannino (a volte feroce) ben si abbina alla cucina del territorio, la sapidità e acidità facilitano la beva.
Nobile vino da tavola, ecco il primo dato. Non è cosa da poco è vino vero.
Secondo round. Le zone, i cru, l’agronomo che fa il pedologo.
Lezione teorica nella bella sala dell’enoteca tenuta da Gian Piero Romana, sulla composizione dei terroir di Dogliani, seguita dalla visita delle varie zone.
Marne tufacee intervallate da sabbie compresse, qualche frattura riempita di argille rosse.
La marna tufacea bianca, ricchissima di calcare attivo, dona potenza e mineralità, le zone dove la sabbia prevale danno vini più sottili ed eleganti, mentre le poche dove è l’argilla rossa fa da padrona sono le meno adatte al dolcetto e solitamente sono riservate alla barbera e al nebbiolo.
La visita alle varie zone conferma l’intuizione avuta al primo contatto con Dogliani. Viticultura di qualità, impianti fitti (da 4500 piante ad ettaro in su), grande cura in campo, e tante tante vigne di età avanzata, perfettamente curate. Fallanze rimpiazzate, in modo di conservare il patrimonio genetico, selezioni massali per gli impianti nuovi. Qua viti di oltre 50 anni sono la norma non l’eccezione, il sistema di allevamento è a guyot semplice con potature a 6/8 gemme.
Dogliani è agricoltura (di grande qualità) di alta collina. La vite arriva ai 600 metri, dove le escursioni termiche sono notevoli. Caldo il giorno, fresca la notte, buona maturazione polifenolica delle uve, contemporaneo mantenimento degli aromi.
Anche la configurazione orografica contribuisce a mantenere freschezza. Quando in etichetta leggete “Sorì” sta ad indicare una vigna che prende il sole già di prima mattina, il che abbinato all’impianto perpendicolare alla pendenza del terreno, si garantisce buona esposizione ai raggi solari ma anche una certa protezione agli stessi nelle ore più calde del giorno.
Il tour delle vigne ci regala vedute molto suggestive, San Luigi, Santa Lucia, Pianezzo, Valdiba… vigne cantine ed asssaggi da bottiglia o da vasca per capire le differenze, ed apprezzare il filo rosso che lega e la denominazione. Stupisce anche quanto siano legati tra loro i produttori, cantina sociale compresa.
Ed è proprio sulla Cantina Clavesana che vorrei spendere due parole. La politica di una cantina cooperativa finalmente di qualità, il socio deve conferire completamente l’uva prodotta ad un prezzo, se si raggiungono parametri di qualità decisamente alti, molto superiore a quello di mercato, mentre, al non raggiungimento di tali soglie qualitative, il prezzo pagato si riduce di del 65%. Uno degli scopi dichiarati della Clavesana è dare la possibilità ai piccoli agricoltori locali di conservare i vecchi impianti, che spesso sono poco meccanizzati, o addirittura la lavorare completamente a mano.
Dogliani è fiero di essere Dogliani, anche se, pur solo dal punto di vista economico, soffre la vicinanza della contigua zona del barolo. Storicamente i due territori erano ben distinti, Dogliani era sotto l’influenza della diocesi di Mondovì, mentre i cugini di Barolo dipendevano dal vescovo di Alba. Anche oggi le differenze sono marcate, a Barolo ed in altri paesi Langa la coltura della vite ha soppiantato completamente l’agricoltura mista tradizionale, mentre nel comprensorio clavesano la vite è ancora intervallata da noccioleti, coltivi a grano ed erba medica, boschi da taglio, coltivazioni di ortaggi tradizionali, e allevamento di bovini da carne, non dimenchiamo che Dogliani dista pochissimi chilometri da Carrù patria del “bue grasso“.
Veniamo ai vini, per disciplinare esistono 2 tipologie, il Dolcetto di Dogliani e il Dolcetto di Dogliani Superiore o Dogliani. Il primo è un vino naturalmente più semplice, sapido, di stampo antico nel nobile senso della parola. Il secondo è un vino decisamente strutturato, sempre con note minerali in bella evidenza e con tannini feroci, estratti con lunghe macerazioni da domare col tempo. Tra i due capita spesso di trovare un intermedio, il Dolcettone “Caviola Style” si concentrato, ma più giocato sul frutto e sugli affinamenti in legno piccolo.
Al naso domina l’amarena donata dal varietale, con a seconda delle sottozone di produzione e dallo stile del produttore altra frutta nera, come susina, prugna e mora e marasca. Con l’invecchiamento, si il Dolcetto invecchia e si evolve molto bene nonostante venga spesso considerato adatto solo a produzione di vini di annata, le note fruttate vengono parzialmente sostituite ed integrate con sentori di cuoio, goudron, mentre la mineralità, note gessose, marine, rugginose, fa capolino a sbuffi.
Quando bere un Dogliani? Per da il massimo a circa dieci anni dalla vendemmia, e nelle migliori annate arriva tranquillamente a evolvere positivamente fino ai vent’anni.
A tavola è un vino con beva eccezionale nella sua versione più semplice, semplicemente perfetto con bella cucina del territorio, mentre il “Dogliani” se maturo accompagna degnamente i grandi piatti carne sia tradizionali come il carrello dei bolliti misti piemontese ( i famosi setti tagli più sette ornamenti) che cacciagione da pelo e altre carni rosse impegnative.
L’incontro con il Dogliani termina con una grande degustazione (verticale, orizzontale, incrociata) dove la cosa che ho apprezzato di più è stata la differenza all’assaggio del vino di punta di Pecchenino. Annata 99 (barrique) vino molto ben fatto, naso e bocca molto fini ed eleganti ma ancora, e direi definitivamente, segnati dal legno piccolo. 2000 (botte grande) sempre molto ben fatto, si un filo più rustico ma decisamente con il varietale e il territorio in maggiore evidenza, oltre alla maggior nettezza del classico finale ammandorlato – amaricante. Personalmente trovo questa nuova strada molto più intrigante, adatta far emergere il Dogliani dall’anonimato di tanti vini si tecnicamente perfetti, ma anche parecchio noiosi.
Ultima nota sull’agricoltura naturale a Dogliani, dove tra aziende certificate e no almeno una quindicina di aziende praticano un’agricoltura assolutamente pulita. Rame e zolfo in vigna e null’altro,inerbimento naturale, niente diserbo chimico, poche concimazioni perlopiù effettuate con letame maturo. Si va dalla biodinamica Nicoletta Bocca che a San Fereolo ha scelto questa impegnativa strada, a Cascina Corte, a Boschis Francesco che pur senza certificazione usa solo rame e zolfo in vigna (inoltre accudisce un Sorì in modo totalmente manuale non essendo questa vigna raggiungibile con il trattore).
L’arrivederci a Dogliani, è un lungo pranzo tradizionale. Grande cucina di territorio e tradizione, Tajarin, Vitello Tonnato, i classici antipasti caldi e freddi, il Bunet finale. Il tutto accompagnato ovviamente dal Dolcetto, pardon, dal Dogliani.
I ringraziamenti dovuti:
Bottega del Vino di Dogliani
Nicoletta Bocca che mi ha personalmente invitato alla tre giorni
Le cantine Pecchenino e Boschis Francesco per l’ospitalità a cena e pranzo
Lo staff della Cantina Clavesana per aver sopportato le mie domande
Ai viticoltori tutti un grandissimo bravi per il modo di porsi e di comunicare il loro territorio e il loro vino.